Editoriali

EDITORIALE

Solo dal Papa e da Briatore un "I am Kenya"

Dai media italiani invece superficialità e cinismo

16-04-2015 di Freddie del Curatolo

147 morti accertati, altrettanti dispersi da ritrovare. 
La strage di Garissa, nord est del Kenya, ha portato per un attimo l'attenzione del mondo intero sul Paese africano, noto soprattutto alle cronache per i suoi meravigliosi scenari, i suoi parchi nazionali pieni di animali in libertà, per il suo improvviso benessere economico (come sempre accade ultimamente, poco sostenibile, nel senso che riguarda soprattutto la classe dirigente e l'alta borghesia) e
per i suoi paradisi sulla costa, specialmente le spiagge di Watamu e Diani, premiate tra le più belle d'Africa, e la vis turistica di Malindi.
Oggi il Kenya è anche uno dei tanti Paesi che vivono sotto la minaccia islamica. 
"Benvenuto nel club", direbbe qualcuno. 
Ciò non toglie che, trattandosi di Africa, le tragedie in Italia non facciano notizia se non vedono coinvolti nostri connazionali. Mentre un attentato a Parigi, così vicina a noi e identificabile con una delle nostre città, ci vede tutti in prima fila a dire "Je suis Charlie", centocinquanta giovani studenti trucidati occupano le prime pagine per due soli motivi:
1. Sono cristiani come la maggior parte di noi. 
2. L'attentato è avvenuto a 350 km da Malindi, dove vivono 5000 italiani e altre decine di migliaia ogni anno si recano in vacanza. Paura, paura, paura! 
Per il resto, ci spiace tanto per quei ragazzi che volevano cambiare la loro vita attraverso lo studio, che sognavano di diventare ingegneri, biologi, tecnici in un Paese che fa pochissimo per l'istruzione. 
I media italiani dimostrano una superficialità e un cinismo che ci stringe il cuore. 
Probabilmente se i 150 morti fossero stati indù o buddisti, e a 900 km da Malindi, ad esempio sempre in Kenya ma sul lago Vittoria, sarebbero bastate quattro righe in fondo alla pagina o un riquadretto nella colonna di destra dei siti online.
Questa è l'informazione di oggi, che cerca di pilotare anche l'indignazione o la commozione generale dove si possano avere più clic, più "mi piace", più ascolti e più copie vendute. 
Per iniziare avremmo gli strumenti per smontare subito le uniche due motivazioni care ai media: 
1. Gli studenti non sono stati ammazzati perché cristiani, ma perché kenioti. Semmai sono i mussulmani ad essere stati risparmiati. Ad alcuni è stato ordinato di chiamare a casa e di annunciare la propria morte imminente, motivandola con l'invasione del Governo keniota in Somalia, non con l'appartenenza a una fede. Molti degli studenti uccisi erano di etnia Luo, Kikuyu, Akamba, Embu e Meru. Va da sé che difficilmente possono essere mussulmani, lo dicono i loro lineamenti. 
2. Gli italiani di Malindi, pur essendo a 350 km (di una strada che non farebbero mai, soprattutto perché non ne avrebbero motivo, non porta in nessun luogo utile o piacevole da visitare, oltre che essere pericolosa da almeno 25 anni), non sono terrorizzati, perché conoscono la situazione. 
Anni addietro, quando gli "shifta", i briganti somali, attaccavano le macchine a Garsen, 100 chilometri da Malindi, sulla direttrice per Lamu, si faceva salire a bordo un poliziotto armato, e si proseguiva. Nonostante questo migliaia di turisti si recavano a Lamu, anche in corriera, o a Kipini, per lo splendido safari lungo il fiume Tana. Io ho fatto almeno cinque volte quella strada, dal 1990 ad oggi.
Questa è l'Africa, luogo straordinariamente selvaggio e libero, che va vissuto nella sua totalità per essere capito. Mentre invece la costa keniota può essere vissuta anche solo una settimana, come insegnano i "pacchetti vacanze", a volte senza nemmeno uscire dal villaggio. 
In quest'ultimo caso, statistiche alla mano, è molto meno pericolosa di altri paradisi turistici tropicali, come ad esempio Brasile e Caraibi, dove scippi e rapine vengono compiuti anche in pieno giorno (cosa riscontrata rarissimamente a Malindi o Watamu) ed all'ingresso delle discoteche ci sono i metal detector per segnalare la presenza di armi da fuoco.
Torniamo a Garissa e agli studenti keniani uccisi. 
La voce di Papa Francesco, splendido uomo immagine che riesce anche ad emozionare i non credenti, come faceva il suo connazionale Diego Armando Maradona con i fedeli del pallone ed anche con gli agnostici, ha ovviamente riguardato la cristianità delle vittime, atto doveroso e memore di quella che non è una persecuzione, ma una forma di identificazione (parole sue), ricordando anche i tanti paradossi di un continente tormentato. 
Il famoso "principio di imitazione" insito nell'animo umano, diremmo. 
Distorsione amplificata da chi? Ovviamente dai media che quasi esaltano le imprese di questi terribili fanatici. Già ai tempi della Siria mi chiedevo: sono più bastardi i rapitori dell'Isis, di cui si conoscono moventi e alto tasso di malvagità, già perpetrato in casa loro su donne e bambini, o i media di tutto il mondo che pubblicano e fanno girare le scene delle decapitazioni ai danni degli occidentali?
In Turchia il gesto del Governo Erdogan, additato da molti come un mezzo dittatore, di oscurare i siti e le pagine dei social che mostrano le foto del giudice ucciso dagli estremisti di sinistra, è passato per illiberale. Considerando quel che sta succedendo in giro, e che blog e riviste online, spinte dalla caccia inumana al "clic" in più, non riescono ad autocensurarsi, direi che Erdogan ha quasi ragione. 
L'altra voce che si è alzata, a tre giorni dal crimine di Garissa, è quella di Flavio Briatore. 
"Facile - si dirà - il tycoon ha interessi in Kenya". 
Vero, infatti nell'intervista a "Il Giornale" non ha omesso di dire che Malindi è sicura e tranquilla, anche perché fino a prova contraria è così. E poteva bastare, per salvaguardare il suo giardinetto billionario. 
Invece Briatore si è spinto più avanti, accusando l'opinione pubblica di trattare l'Africa come "un mondo di serie B", dove i morti fanno notizia solo se sono "funzionali" a qualcosa in cui ci si può riconoscere. 
Ecco perché "Je suis Charlie" e non "I am Kenya". 
La morte, così come il terrore, non è né povera ne radical chic.
Ecco perché questa volta ci sentiamo di concordare con Flavio: un po' di coerenza, o ipocriti su tutto, oppure solidarietà incondizionata.
Noi, sinceramente, saremmo anche per una terza via: più obbiettività, meno retorica dei finti buoni sentimenti e stop alla caccia selvaggia, stereotipata e senza pietà per catturare l'occhio distratto del lettore.

TAGS: Kenya attentatoI am KenyaPapa Francesco KenyaGarissa MalindiStrage Kenya

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