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AMBIENTE

Il primo giorno "no plastic bag" a Malindi

Viaggio tra chi si ingegna e chi ancora non crede al cambiamento

29-08-2017 di Freddie del Curatolo

I cambiamenti repentini in Kenya non esistono.
Stiamo parlando della culla dell'umanità, dove tutto semmai si evolve, muore e rinasce, si ricrea.
Ma cambiare, è una parola grossa.
Le mutazioni qui sono roba che nemmeno te ne accorgi da quanto sono lente e naturali.
Come il carapace della tartaruga o quello del granchio, come la pelle del serpente o un fiore tropicale che si schiude. 
Proprio per questo i kenioti, quando decidono che è ora di cambiare qualcosa, lo fanno (o tentano di farlo) in maniera decisa, perentoria, autoritaria.
Per convincere loro stessi che qualcosa sta per essere modificato.
Lo abbiamo notato anni fa quando, dopo due tentativi, passò la legge anti tabacco: sulle prime il Governo avrebbe voluto vietare le sigarette ovunque, costringere i fumatori a chiudersi in automobili intossicanti e girare per la città senza poter aprire i finestrini, con l’aria condizionata che avrebbe impregnato per sempre i sedili.
Alla fine, tolti gli aeroporti e gli ospedali e due o tre città virtuose, si fuma dappertutto e ogni locale ha la sua zona tabagisti, anche se non propriamente areata. 
Ora è la volta del bando dei sacchetti di plastica, iniziativa lodevole e salvifica che era in cantiere da un paio d’anni.
Il Ministero dell’Ambiente aveva avvertito già dallo scorso febbraio che il 28 agosto sarebbe scattato il divieto, ma in pochi ci credevano.
“Dopo le elezioni, se ne dimenticheranno” era il refrain.
Non ci credevano le aziende produttrici di “plastic bags” che hanno continuato a distribuirle, non ci credevano i negozianti che non hanno acquistato altri tipi di sacchetti in tempi non sospetti, in cui avrebbero potuto risparmiare il 100% rispetto ad oggi.
Ed ecco che ieri è finalmente arrivato il fatidico giorno e il Paese ha scoperto che è vero, c’è stato il cambiamento!
A Malindi, provincia della provincia dell’Impero, eterno sud del Kenya che è sud dell’Africa Equatoriale, e come tutti i sud del mondo se la prende sempre con calma e filosofia, ieri qualcuno iniziava a pensarci.
Ma c’è anche chi, come sempre, in poche ore si è ingegnato, ha studiato il modo di cavarsela anche stavolta ed ha usato quella fantasia e creatività propria di chi da sempre è abituato a sbarcare il lunario.
Mentre gli indo-arabi già vendono i sacchetti ecologici in polipropilene (che sono chimici in realtà, ma non inquinano bruciando) e fabbricano leggerissime borsette di tela, nei negozi locali trionfa come un tempo la carta di giornale, usata per fare barchette, coni e cestelli artigianali dove infilare uova, verdura e frutta.
Se il Kenya è arrivato a dover eliminare la plastica, è perché fino a ieri tutto si infilava nei sacchetti: la carne dal macellaio, che ora torna nelle foglie di banano, le samosa e le patatine fritte, che sono avvolti nel Nation o nello Standard, e se sono particolarmente unti vanno a prendersi l’inchiostro, tanto che sui chapati puoi leggere i titoli delle pagine sportive del giorno prima.
“La legge è passata oggi – commenta il titolare del chiosco di frutta di Lamu Road – vuol dire che per oggi ancora posso usare i sacchetti”.
E domani?
“Domani chi non si porta qualcosa da casa, riceve la fetta di cocomero in mano e i frutti della passione se li infila in tasca”.
Da Mulla Boutique sono organizzatissimi, con sacchetti alternativi (gli stessi che ha il Nakumatt) e anche borse di tela autoprodotte. Il proprietario è al telefono per capire cosa deve fare con tutta la merce impacchettata.
“Non è ancora chiaro nulla, aspettiamo i prossimi giorni”.
Dal fruttivendolo di Casuarina si va di carta, sia quella degli ortolani del mercato in Italia, sia quella ricavata dai pacchi di farina o da quelli grandi di cemento.
Qualche problema in più per i pescivendoli, che ripiegano sulle classiche ceste di corda intrecciata, dove solitamente trasportano i granchi vivi.
Uno dei più conosciuti del centro, dentro la cesta ha solo una piccola cernia.
“Fino a ieri la mettevo in un sacchetto – ammette sorridendo – ma oggi è cambiato tutto”.
E se lo dice lui, mi sa che per una volta la tartaruga si è svestita del guscio come una spogliarellista ucraina, il serpente ha fatto un gioco di prestigio, il frangipane è sbocciato come nei documentari di discovery channel. 
Sissignori, Malindi è pronta.
All’africana, certo, ma è pronta!

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TAGS: Kenya plasticaKenya sacchettiKenya vietatoMalindi plasticaKenya rifiuti

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