L'angolo di Freddie

RACCONTI

Nonno Kazungu e i moderni nababbi d'Africa

In Kenya si può essere ricchi anche se non lo si è

30-12-2020 di Freddie del Curatolo

Nonno Kazungu era un uomo saggio.
Raramente lo sentivi lamentarsi.
Con pazienza e il raro dono della programmazione, negli anni si era costruito un benessere che investiva tutto il parentado e che gli regalava una vecchiaia confortevole: capanna di cemento misto fango misto sabbia misto argilla misto merda di vacca, pavimento di cemento misto terra misto paglia mattonelle semisbriciolate che erano avanzate al muzungu, veranda misto radura e toilette mistocagandoaddosso.
Poi tetto di makuti rivestito di mabati rivestito a sua volta di makuti (“anche l’estetica vuole la sua parte, ma l’importante è che non piova in casa” era il pensiero del nonno), letto rivestito stracci, guardaroba rivestito polvere e arredamento rivestito nudo. Infine optional come sedie a tre gambe, tavolo a due mani, una mensola a testa e un comodino a parete (la stessa mensola travestita); roba di lusso, che pochi potevano vantare.
I suoi reumatismi erano al sicuro, la notte.
Tutto il suo villaggio godeva della capacità amministrativa del vecchio: staccionate fiorite a delimitare il terreno, pentolame resistente, un orto da fare invidia a un qualsiasi agriturismo padano, una squadra di calcio di caprette (riserve comprese), tre mucche da latte (Federica, Fabiola e Angelina, chiamate così in onore di tre famose muzunghe di Malindi che, si diceva, si erano comperate delle tette nuove in Italia di taglia superiore) e un pozzo, la spesa più cara di tutte, finanziata per metà da due italiani che si erano presi a cuore la sorte del nipotino Ray, nato con una grave malformazione alla cornea ma con un gran talento per la musica.
Dopo averlo fatto curare avevano migliorato il suo habitat naturale.
Un anno dopo avevano deciso di chiederne l’affidamento per farlo studiare in conservatorio del Nord Italia.
Insomma, rispetto a molte altre realtà giriama, a Kakoneni sorgeva un villaggio “borghese”.
“Ma se fossi stato ancora più ricco? - elucubrava Kazungu – con la mia testa e il mio altruismo avrei dotato tutta Kakoneni di tetti di mabati, avrei aperto un locale con la televisione via satellite per seguire il Liverpool e alle sei di sera, col sottofondo di My way, mi sarei bevuto un Mojito preparato col Safari Rum, mi sarei comperato un grosso fuoristrada, anzi un pulmino che Tumaini avrebbe usato per portare i bambini nella migliore scuola di Malindi e mio nipote Kitsao sarebbe diventato un premio Nobel.  
Le donne del villaggio farebbero la spesa al new market e potremmo mangiare anche il riso pilao, le braciole di maiale e il sailfish affumicato (lo so, è una debolezza, ma ne vado pazzo, con due cipolle e del pomodoro tritato…l’avete mai provato con la polenta?)”.
A mio figlio Furaha, il musicista, comprerei una tastiera nuova con tutti i tasti, anzi: un’orchestra!
Poi si rabbuiava e pensava che magari con tanti soldi in tasca e in testa, avrebbe potuto anche ammattire.
Darsi alle donne di stradast, drogarsi di whisky kikuyu come il Tremebond 7 o il Simba Mbito e rincoglionirsi con le macchinette del poker.
Insomma, finire come i tanti italiani che aveva conosciuto a Malindi, arrivati billionari e ripartiti, qualche anno dopo, con le tasche vuote e il sedere pieno.
“Essere troppo ricchi può dare alla testa, si perde il contatto con la realtà e con Madre Natura, non si riesce a valutare quel che è giusto e quel che dovrebbe essere giusto (di sbagliato, grazie a Dio, in Natura c’è solo l’uomo).
Essere benestanti porta mille problemi in più, finti amici che ti chiedono prestiti, parenti che propongono affari e investimenti, vicini di casa che ti mostrano il figlio sciancato, la moglie orba, il fratello muto, la zia schizofrenica, il cognato monco, la nonna col Parkinson e il cane con la psoriasi.
Lui piange aiuto e tu gli chiedi:
“Ma solo tu sei normale, in famiglia?”
“Sì…perché?”
“Tieni, prendi questi e scappa!” gli dici, mettendogli in mano i soldi del biglietto per Kisumu.
C’è un antico proverbio keniota che recita: “tanto più rigoglioso sarà il tuo shamba, tanto più crederai che la pioggia mai lo allagherà”.
No, l’eccessiva agiatezza non fa per noi giriama, ma credo che a tutti gli uomini, se non ci nascono, crei dei problemi.
E anche se ci nascono!
Mi ricordo il figlio di uno degli uomini più potenti d’Italia, quello della Juventus. Prese una suite in uno dei più bei villaggi turistici della costa, poi però campeggiava nei tuguri più infimi di Maweni o di Shela in compagnia di spacciatori e altri muzungu strafatti come lui. Ah, tagiri…tagiri”.
Tajiri” si dice in swahili, quando uno è molto ricco.
Non appena tagiri te la mettono in quel posto - diceva sempre il mio boss”.
Una delle peculiarità degli italiani che sono sbarcati a Malindi, negli ultimi trent’anni, è quella di aver rappresentato tutti i ceti sociali; dal multimiliardario al povero in canna.
Molti sono arrivati all’Equatore con la tessera del benessere, magari dopo aver venduto un’azienda quotata in borsa o riscuotendo gli affitti di intere palazzine in Italia, alcuni ritirano alla Barclays pensioni statali inferiori solo allo stipendio dei   ministri a Nairobi, altri hanno speculato con l’edilizia o la compravendita di terreni e oggi si possono permettere una vita agiata all’occidentale: villa con piscina, almeno dieci persone di servitù, chef di livello, attività in perdita per far vedere che te lo puoi permettere.
Questi sono gli status dell’italiano sulla costa keniota.
Ma in Kenya non ci sono solo i ricchi.
Nel tempo sono sbarcati tanti uomini piccoli.
Sono coloro che hanno intravisto in questo angolo di paradiso la possibilità di riscattare una vita grigia, una mediocrità più o meno felice e meritata in Italia.
La parola “nababbo”, deriva dall’arabo nawab e si riferisce ai governatori mussulmani in India. I primi erano proconsoli mandati in avanscoperta che si autoproclamavano principi e sultani di quelle lande, sostenendo appunto una vita sfarzosa ai danni delle genti che andavano (a regola) a convertire ed aiutare.
Quante volte si è sentito dire che tanti italiani sulle rive dell’oceano indiano fanno la vita “da nababbi”. Magari c’è anche qualcuno che prende alla lettera l’antico significato della parola ed oltre a riempirsi la giornata di piaceri, aiuta e converte la popolazione indigena.
Non basta più la villa con piscina…che ne dite se nello status ci infiliamo anche un orfanotrofio?
Fa tanto solidarity eco-chic…
Nonno Kazungu lo ripete spesso ai suoi: anche se non è facile crederci, non esiste un solo tipo di muzungu, le loro risorse non sono infinite e anche la base di partenza può essere diametralmente opposta.
Altrimenti come ci spiegheremmo che c’è chi risiede in faraoniche residenze con ruscelli, cascatelle, saloni immensi old colonial dove prendere il tè e giardini verdi new brianzol in cui perdersi, e allo stesso tempo ci sono connazionali che abitano in  miniappartamenti di concezione arabindiana talmente angusti, sporchi e malmessi che perfino gli scarafaggi guardano gli annunci sul Nation per cercarsi un altro posto dove andare ad abitare?  
Spesso quest’ultima categoria di persone viene a Malindi proprio perché attratta dalle storie della prima categoria.
In Italia è impensabile che un impiegato di Trenitalia in mobilità possa incontrare in un bar e parlare del più o del meno con l’azionista di maggioranza di una beauty farm che ha ancorato lo yacht a Portofino.
A Malindi basta recarsi al Casino, o in un ristorante italiano, per stringere la mano a un vip. Si può fare la corte alla stessa ragazza che la sera prima è uscita a braccetto con il proprietario di un resort da favola e ci si trova su un isolotto di sabbia che affiora al largo di Watamu a giocare a pallavolo con Flavio Briatore e Elisabetta Gregoraci.
Questo sì che è benessere!
Avere una fidanzata bella come Naomi Campbell, una villetta a due passi dal mare col giardino in cui grigliare aragoste, fare una puntata ai tavoli verdi o un safarino ogni tanto con il proprio fuoristrada…quanto può costare un’esistenza del genere?
Poco, rispetto agli standard italiani…se immaginate il prezzo di una villa a Positano, San Teodoro, Forte del Marmi o Santa Margherita Ligure, quello di una escort ucraina bella come Eva Herzigova  che vi faccia da fidanzata e il prezzo dei crostacei al mercato del pesce.
In Kenya si può essere ricchi anche se non lo si è.
Quindi è vero che esistono i due tipi d’italiano di cui sopra, il nababbo e l’indoarabizzato.
Ma è altrettanto vero che a volte possono essere la stessa persona, che arrivò in Kenya con sogni di grandeur e in poco tempo si è vista costretta a ridimensionare il tutto.
Dalla megavilla a un miniloculo, dalla piscina con le cascate a una doccia che perde, dalla sorella di  Naomi Campbell alla cugina di Whoopy Goldberg.
Ma si può sempre raccontare la stessa storia a chi vive lontano, in Italia, e riceve cartoline digitali via e-mail che odorano di spiagge esotiche, sole mare, relax e piacere.
Le risposte arrivano puntuali.
Ci vorrebbero immagini di freddo, stress, traffico, smog, nebbia, rogne e malinconia a commentarle.
“Quasi quasi vengo a trovarti in Africa, amico mio…”
“Dài, che acquistiamo insieme una villa con piscina!”
“Ma tu non ce l’hai già?”
“…ma ne prendiamo una più grande, no?”
Perché all’Equatore, a differenza del mondo occidentale, si può sempre ricominciare…
E’ una questione di principio.
Principio d’imitazione.

TAGS: nonno kazungunababbi kenyakenya ricchiracconti kenyafreddie del curatolo

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