Amici dello Tsavo

TSAVO

Tsavo: elefante salvato dal laccio di un bracconiere

Amici dello Tsavo avvertono la Sheldrick Foundation: libero!

29-02-2020 di Giovanna Grampa

Gli elefanti sono animali dalle caratteristiche singolari ed ogni giorno ci sorprendono per la loro intelligenza e sensibilità.
Quando si inizia ad osservarli più attentamente ci si accorge che molti loro comportamenti, all’apparenza, non sono per niente irrilevanti ma sono sempre ricchi di significato, in grado anche di chiedere aiuto all’uomo.
Non voglio generare l’impressione di avere qualche legame mistico con questi splendidi pachidermi ma so, per esperienza, che sanno comunicare i loro problemi in casi estremi.
Una matriarca con i suoi barriti nervosi ci ha segnalato un elefantino intrappolato in una pozza d’acqua limacciosa.
Un giovane elefante con una grave infezione ad una zampa anteriore si è fatto fotografare sul ciglio della strada fissandoci con uno sguardo implorante e mettendo ben in evidenza il suo problema.
Un maschio adulto si è staccato dalla sua famiglia che si stava abbeverando ad una pozza, avvicinandosi alla nostra auto per mostrarci la sua zanna rotonda talmente anomala che la punta stava crescendo sotto l’occhio sinistro entrando nella carne, causando profondo dolore.
Animali che non sarebbero sopravvissuti se non fossero stati in grado di comunicare con noi, sicuri che avremmo attivato i soccorsi in loro aiuto.
E’ la passione che mi spinge sempre a non farmi condizionare dal riduzionismo degli etologi: vivere “dentro la natura” ti insegna che un elefante non solo comunica con gli altri membri del gruppo ma è in grado di provare empatia e con l’esperienza sviluppi “l’occhio della savana”, la capacità di intuire se qualcosa non va.
E pochi giorni fa un altro elefante ci ha chiesto aiuto per un problema veramente serio: un laccio al collo, una trappola mortale che lo avrebbe condannato a sofferenze atroci.
Da oltre due settimane lungo il fiume Galana, nel parco dello Tsavo East, numerose famiglie di elefanti vivono in un’ansa dove l’acqua scorre tranquillamente tra le rive ricche di vegetazione verde e rigogliosa: un paradiso elefantino anche per i numerosi cuccioli giocosi ed irrequieti ma è una festa per tutti. I branchi si mescolano tra loro, molti elefanti giocano in acqua fra grandi spruzzi, altri con movimenti lenti raccolgono del terriccio con la proboscide per farsi un bel bagno di polvere, altri ancora scendono da un pendio diretti all’acqua, rapidi con la loro andatura flessuosa e trotterellante scuotendo la testa e facendo vibrare la proboscide rugosa nel pregustare con anticipo l’acqua dolce e fresca del fiume.
Ma tra loro una giovane femmina rimane indietro e distaccata dal branco: si ferma a fissarci con lo sguardo immobile. Non è vicinissima tanto che possiamo osservarla meglio con un binocolo e rimaniamo impietriti nel vedere un grosso filo di ferro pendere dal suo collo per una lunghezza di circa un metro, ingarbugliato nella parte finale e parzialmente nascosto dalla proboscide. L’elefantessa gira lentamente la testa, ci cerca con i suoi piccoli occhi e agita la proboscide per sentire il nostro odore. Si mette di profilo e mentre allarga le grandi orecchie notiamo che il laccio ha provocato più di un solco profondo nella pelle e tutto intorno c’è del sangue raggrumato, segno inequivocabile che il povero animale ha tentato più volte di liberarsi dal filo di ferro che lo stava strangolando. Sono trappole fatte con cavi di acciaio molto resistenti spesso stese tra gli alberi lungo i sentieri di passaggio degli elefanti o vicino alle sorgenti d’acqua. Il metodo è molto semplice e gli animali intrappolati, nel tentativo di liberarsi, si procurano profonde ferite anche mortali per infezione. Purtroppo, ci sono bracconieri che pagano i locali “esperti del ramo” per montare questo tipo di trappole ed uccidere gli elefanti: una strage silenziosa! L’entità delle ferite è orribile e l’agonia sopportata indicibile; è incredibile ciò che l’uomo orribilmente può infliggere ad una creatura così meravigliosa. Gli animali si fanno prendere dal panico quando vengono catturati dal laccio e continuano a tirare verso il filo rendendolo sempre più stretto. Se il laccio è attorno al collo e il filo è abbastanza forte l’animale può morire anche soffocato. 
La nostra giovane femmina è riuscita in parte a rompere la trappola ma non a liberarsi dal filo d’acciaio per cui scattiamo qualche foto, corredata con coordinate GPS, che inviamo immediatamente alla DSWT (David Sheldrick Wildlife Trust), l’unica organizzazione che ha mezzi e uomini pronti ad intervenire in tempi brevi. Da Nairobi autorizzano l’operazione di salvataggio con un elicottero e una unità mobile che, appena un’ora dopo la nostra segnalazione, giungono sul posto. L’elefante viene individuato e separato dal gruppo per essere anestetizzato. In assenza di interventi il povero animale sarebbe morto in breve tempo per setticemia, condannato ad una lunga ed estenuante agonia. Dopo la rimozione del laccio vengono ripulite le ferite, infuse con un disinfettante e spalmate con un antibiotico a lunga durata d’azione.
Il trattamento ha pieno successo e si procede ad iniettare l’antidoto per il risveglio dall’anestesia. Qualche minuto e l’elefantessa inizia a muoversi a fatica cercando di mettersi in piedi. La vediamo alzarsi lentamente e subito dopo incamminarsi un po’ intontita cercando di riunirsi, anche se a fatica, con la sua famiglia. E’ salva e presto, parola del veterinario Dr. Poghon che ha eseguito l’operazione, guarirà perfettamente riprendendo tutte le sue forze.
Questi maestosi mammiferi, mansueti abitatori della savana, sono purtroppo spesso vittime della crudeltà degli uomini che li massacrano per ottenere l’avorio senza comprendere che esseri meravigliosi stiano conducendo verso l’estinzione. La savana ha bisogno di noi, di tutti noi, del nostro supporto e del nostro rispetto perchè senza elefanti non sarebbe più la nostra vera Africa!

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TAGS: elefanti kenyatsavo kenyasheldrick kenyaamici tsavo

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