Storie

MUSICA E DINTORNI

I 50 anni dei 'funghi' di Jambo Bwana

Storia ed evocazioni della più nota pop-song keniota

15-12-2023 di Freddie del Curatolo

Il Kenya, a differenza di altre nazioni del continente, non ha una tradizione musicale con un’identità precisa e musicisti o gruppi di riferimento, come avviene nella vicina Etiopia, ad esempio, con il jazz amarico, o nella Repubblica Democratica del Congo che, da quando era Zaire, ha influenzato tutta l’Africa Subsahariana con i suoi ritmi e le inconfondibili volute di chitarra che ancora oggi identifichiamo come “musica africana”.

Per non parlare dell’Africa occidentale, vera culla della musica moderna, se si pensa alle radici del blues che nascono in Mali o ai “griot”, i primi cantautori della storia della musica moderna. Per finire alle “morne” e alle “coladere” delle ex colonie portoghesi, Capo Verde e Angola, che hanno influenzato tutta la musica brasiliana.
Abbiamo dimenticato, volutamente, il Sudafrica che fa storia a sé, anche se con la grande cultura e la commistione che si porta dietro e che è espressione delle sue battaglie, ingloba un po’ tutto il mondo musicale del continente, dal gospel più black ai ritmi forsennati zulu, dalla raffinatezza delle canzoni interpretate da Miriam Makeba, alle radici del fusion-jazz di artisti come Hugh Masekela e soprattutto Malathini.

Il Kenya no.
Prima dell’arrivo dei britannici, erano solo canti rudimentali, per quanto accorati e densi di spirito tradizionale. Peana da funerali, accompagnamenti per danze da matrimoni e cerimonie in generale.
Ballate del raccolto, come il Mwanzele dei Mijikenda, o della pesca, come il Benga dei luo del lago Vittoria. Sicuramente quest’ultima è l’espressione più vicina ai suoni “colti” dello Zaire, anche perché gran parte dei musicisti di quella zona sono in realtà ugandesi di nascita o di origine…come il grande Ayub Ogada, scomparso da pochi anni, adorato da Peter Gabriel e David Byrne e autore di colonne sonore e trasposizioni della musica popolare del bacino del lago Vittoria in chiave etno-jazz.

Senza una storia musicale profonda e radicata nella cultura del paese, dall’indipendenza in poi, il Kenya ha assorbito il pop dell’ex impero britannico e, via via, si è inebriato di influenze americane, fino ad assaporare l’empatia tropicale della musica reggae.
Ecco perché non esiste una definizione di “musica keniota” né si può parlare di uno stile, un ritmo, un genere noto e riconoscibile. Perfino la più famosa melodia riconducibile al Kenya (o alla Tanzania, la paternità della canzone è ancora un mistero), ovvero l’eterna “Malaika”, nelle parole stesse del presunto autore Fadhili Williams, ha subito il fascino armonico delle canzoni caraibiche e hawaiane che filtravano dalle prime radio internazionali tra Nairobi e Mombasa.

“E’ solo musica leggera, ma come vedi la dobbiamo cantare” dice il poeta.
In questa reale ed un po’ triste constatazione, un profilo da “pionieri” lo hanno sicuramente i Them Mushroom, gruppo che quest’anno festeggia i 50 di attività, benché oggi alcuni dei suoi membri originali non ci siano più e i figli, con alcuni degli strumentisti alternatisi negli anni, abbiano rinominato il gruppo “Uyoga”.
Se il nome dei Them Mushrooms (Letteralmente i “Loro Funghi”) non vi dice niente, vale la pena ricordarvi che sette anni dopo la loro fondazione e dopo innumerevoli concertini sulla costa, particolarmente negli hotel affollati di turisti tedeschi tra Nyali e Malindi, Teddy Kalanda Harrison e i fratelli Katana, Ziro e Sarro hanno pubblicato il primo disco in cui era contenuta una loro canzone che è diventata appunto il simbolo del moderno pop orecchiabile keniano ma allo stesso tempo un biglietto da visita mondiale dell’accoglienza turistica del paese: Jambo Bwana.

Con una melodia facile facile, una “musica leggerissima” per dirla con parole sanremesi e il sorriso un po’ paravento sulle labbra, i Them Mushrooms hanno creato il “kenyan sound” e allo stesso tempo scritto la canzone più emblematica, riprodotta, risuonata e canticchiata di questo paese.
Sono migliaia le versioni registrate, remixate, trascritte e canticchiate della canzoncina il cui ritornello termina con l’immancabile “hakuna matata” con l’accattivante accento sulla à.
Negli anni Ottanta, l’allora gruppo “disco” Boney M, capace di milioni di copie vendute con hit internazionali come “Daddy Cool” e “Rasputin”, tradusse in inglese Jambo Bwana (tranne l’hakuna matata) che in Germania scalò le classifiche (si sa quanto i tedeschi siano sensibili alla buona musica…) e li convinse ancor più a frequentare la costa keniana. Intanto i funghetti di Mombasa si portarono a casa il disco d’argento africano, con 60 mila copie vendute per il loro album “Kenya Hakuna matata”.

Un produttore tedesco pochi anni dopo mise anche in piedi un gruppo, la Safari Sound Band, con uno dei fungaioli minori che avevano lasciato la band cercando fortuna, registrando una nuova versione della canzone e un album con altri brani facili facili o rifacimenti di altre pop-song di Mombasa e dintorni, come ad esempio “Karibuni Kenya” di Nabil Salsui. Il compact disc è stato per anni uno dei cadeau d’hotel più acquistati dai turisti, quando ancora non esisteva la musica online.

La storia dei Them Mushrooms, ovviamente, non è solo legata a Jambo Bwana, che probabilmente è la canzone più facilotta che abbiano scritto, un po’ come “Viva la mamma” per Edoardo Bennato o “Gianna” per Rino Gaetano, ma come spesso accade, la più famosa.
Dagli inizi nei primi anni Settanta in cui si rifacevano al Rhythm ‘n’ blues nero americano ed accarezzavano la psichedelia del pop inglese (si dice che il nome del gruppo derivi da un assaggio di funghetti allucinogeni…), fino all’hotel-pop, hanno attraversato la storia del Kenya dell’accoglienza turistica fino ai giorni nostri, confusi in un playback di rapper, armonizzatori di voci stonate e basi elettroniche che viene quasi da rimpiangere quando i brothers Teddy Kalanda, Billy Sarro, George Zirro, John Katana, Pius Plato Chitianda "Jibaba" and Pritt Nyale inciserò quel motivetto che diceva “Jambo, jambo bwana, habari gani, mzuri sana, wageni wakaribisha, Kenya yetu hakuna matata…” Ciao, ciao signore, come va? Molto bene…straniero, sei il benvenuto, nel nostro Kenya, nessun problema”.

Auguri, Them Mushroom per le vostre nozze d’oro con la musica ultraleggera, e se qualcuno vi dirà che “Jambo bwana” non è buona nemmeno per essere cantata sotto la doccia, rispondete con il solito ineffabile sorriso, cantando “hakuna matatà”.

TAGS: jambo bwanacanzonimusicapop

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