LUTTO
21-01-2023 di Freddie del Curatolo
Una presenza importante, lo sguardo da ragazzino impenitente con gli occhiali quasi più grandi del suo volto, lo sbuffo di una pipa e un senso dell’umorismo alto, che creava parole sempre argute, pensieri mai scontati.
Così ricordo Mimmo Fazzini, uno degli storici italiani a Malindi degli ultimi cinquant’anni. Di certo uno dei più creativi, brillanti e carismatici. Se n’è andato ieri a 82 anni, di cui la metà passati in terra keniana dove ha lasciato segni evidenti della sua creatività in case, resort e negli arredamenti di mezza cittadina turistica.
“Quando le persone se ne vanno, gli altri le dipingono come santi, io vorrei che di mio padre rimanesse un’immagine vera, umana” racconta di lui, Giovanni Antonio Ugo Fazzini detto Mimmo, la figlia Barbara, scrittrice che a nove anni, nel 1980, con la madre, lo seguì nell’avventura malindina.
“In lui albergavano, genio e follia, talmente stretti, l'uno all'altra, da fondersi in un unico groviglio, che gli conferiva un paio di occhiali magici, attraverso i quali, osservava la sua e l'altrui esistenza. Occhiali magici che, talvolta, se lui lo desiderava gli permettevano di filtrare gli eventi, edulcorandoli, inasprendoli o plasmandoli a suo piacimento. Un paio di occhiali contro il dolore, contro la responsabilità e la consapevolezza di sé, comodi per lui e scomodi per gli altri. E a volte comodi o scomodi per entrambi” racconta Barbara, e già si capisce come Fazzini, al pari di molti suoi coetanei della prima Malindi italiana, meriterebbe un romanzo più che un articolo di commiato.
Di famiglia nobile, un passato da studente della Bocconi di Milano, quattro lingue parlate correntemente a cui si aggiunse il swahili imparato in poco tempo, la sua creatività lo portò a lavorare con Armando Tanzini come costruttore, poi con un amico francese di nome Daniel, da cui prese forma uno dei primi pregevoli “workshop” di mobili, chiamato MimDan.
Nel frattempo però, nel centro della Malindi turistica che sorgeva con viaggiatori di alto livello, aveva aperto la boutique “Our Shop”, che vendeva abbigliamento da safari, manufatti locali di particolare pregio e “Our Boutique”, aperto per la moglie, che vendeva pietre preziose e abbigliamento più pregiato e colorato. Ancora oggi in resort e ville di lusso di Malindi si trovano i suoi arredamenti, il suo stile, che fu cercato anche dagli scenografi dei film girati a Malindi, come ad esempio “Nel continente nero” di Marco Risi.
Alla sua inventiva e alla dialettica che lo faceva amare o odiare dalla comunità italiana, spesso per la sua spietata, sarcastica sincerità, alternava alcuni vizi che ne hanno condizionato la parabola keniana, primo tra tutti il gioco d’azzardo ma anche, come ricorda Barbara: “le donne, che hanno avuto un effetto anche peggiore della roulette sulla sua vita. Al nostro arrivo, mia madre si è accorta che mio padre aveva preso ad intessere una relazione con una commessa di Our Shop ed è per questo che lei ed io siamo tornate a vivere in Italia”. Da quella relazione Mimmo Fazzini ha avuto quattro figli, di cui una, Madina, è stata moglie del due volte governatore di Mombasa, Hassan Joho.
“A Malindi lo conoscevano tutti – racconta ancora la figlia Barbara - aveva molti amici ed anche molte inimicizie, ma nonostante qualche tiro mancino che lo aveva messo in difficoltà, lui era sempre riuscito ad uscire vincente da tutte le sfide che la vita gli aveva proposto. Era un uomo fortunato, coraggioso ed intraprendente”.
Era un italiano di Malindi, nel bene e nel male e se io, che per lui a quei tempi ero ancora "Alfredo", ho un appunto da farti, caro “Signor Fazzini” come ti chiamavo, è quello di non avermi mai voluto raccontare a modo tuo questo fazzoletto d’Africa, pur apprezzando la mia scrittura ed aver capito che avevamo un’ironia affine, della Milano dei Carlo Castellaneta, ma anche di Beppe Viola e di Enzo Jannacci. Lo meritavi sì, un romanzo, Mimmo.
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