Racconti

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Tre piccoli nababbi a Nairobi (Ultima Puntata)

Racconto da un fatto vero di cronaca in Kenya

25-05-2019 di Freddie del Curatolo

Su Nairobi, dai primi chiarori, scendeva una pioggia elettrica e serrata. 
Le nuvole sembravano andare a cercare i palazzi più alti e le strade, gli avvallamenti e le rotonde iniziavano già ad allagarsi.
Moko si svegliò con un gran mal di testa e l’umore sotto le scarpe Bata da 2.800 scellini.
“Uff...dove andiamo con questo tempo?”
“A comprare degli ombrelli...ne ho visto uno del Liverpool!” disse Kali, che nel tirarsi su dal letto avvertì un dolore al ginocchio e si recò in bagno zoppicando.
“Voi state qui – ordinò il capo – io vado giù a pagare l’albergo e poi al baretto di fronte a prendere la colazione. Mangiamo in stanza e aspettiamo che finisca di piovere”.
I soldi che aveva in tasca sarebbero bastati, decise in ogni caso di tirare giù quelli dal tubo e portarli con sè. Chissà mai che a Moko fosserò risaliti i fumi dell’alcool e decidesse di dileguarsi per non dover tornare a Wajir.
Come promesso, dopo una ventina di minuti, Hussein fece ritorno con tre sacchetti di carta e una specie di thermos.
“Due mandazi a testa, pancake, uova fritte e...patatine!”
“Sei grande, capo!”
Kali si produsse in una creazione culinaria che alle 9 del mattino avrebbe messo in difficoltà chiunque: operò un foro con i denti al mandazi e lo riempì completamente di patatine, irrorate precedentemente di peptang sauce. Mentre lo prendeva a morsi, aveva l’aria di chi non avrebbe mai dimenticato quella scena e quel gusto per lungo tempo a venire.
Moko sentiva il beneficio del pancake come fosse una spugna che ripuliva il malto latente, Hussein beveva lentamente e pensava a come concludere la vacanza nel migliore dei modi.
Ad un tratto avvertirono un trambusto ai piani inferiori: porte che sbattevano, colpi contro il muro, urla di ragazze e clienti. Istintivamente Hussein si alzò e diede una mandata di chiave alla porta. Dopo pochi secondi sentì bussare: “Aprite, polizia!”
Moko si portò alla finestra, per valutare se fosse possibile saltare giù, o almeno camminare sul cornicione. Ma non c’era nessun cornicione, solo piastrelle rese ancor più scivolose dalla pioggia.
“Ma noi non abbiamo fatto niente” piagnucolò Kali.
“State tranquilli, ragazzi. Ci pensa il capo”
Hussein cercò di soffocare il tamburo che gli si era attivato nel petto e si recò ad aprire la porta.
“Buongiorno, polizia. Siamo solo dei bambini, il nostro papà non c’è”
L’agente, uno spilungone preparato a digrignare i denti con puttane, spacciatori e criminali da poco, restò per un attimo interdetto. Nonostante fossero loro il motivo del blitz al Riverside, trovarsi davanti tre mocciosetti a loro agio tra profumo di dolci e odore di fritto, giocattoli e vestiti come suo figlio non aveva mai avuto, l’aveva spaesato, tanto che non estrasse neanche l’arma.
“Ragazzi – esordì – prendete le vostre cose e seguitemi”
“Ehi, soldato! - Lo fermò Hussein con un braccio all’altezza dei fianchi – ti do 5000 scellini e tu non ci hai visto, va bene?”
Lo spilungone non credeva alle sue orecchie. Quella canaglia in miniatura stava cercando di corromperlo!
“Francis, Mwangi, li ho trovati, sono qui, al terzo piano. Venite!”
Li immobilizzarono come fossero pericolosi terroristi e li trascinarono per le scale.
Al primo piano incrociarono Lola e il tubetto di maionese.
“Bravi agenti, riportateli dai parenti...questi ragnetti vanno educati...pensate che volevano venire a letto con noi”
“Neanche morto, bruttona!” urlò Hussein, mentre Kali, avvinghiato a uno dei poliziotti come un koala, ringraziava il cielo di essere già andato in bagno e Moko pensava che piuttosto che morire per mano dei poliziotti, un giro nel letto con Lola se lo sarebbe fatto.
“Anche lei si deve presentare alla stazione” disse lo spilungone uscendo, al proprietario del Riverside.
“Gliel’ho già detto, sono venuti con il padre, ho qui gli estremi del documento. Non accetto mai minorenni...di nessun tipo”
“Faccia uscire i clienti, chiuda l’hotel e si presenti in polizia” fu la laconica risposta.
Sull’Undicesima c’era una folla come neanche al funerale del campione di boxe somalo Liban Jamal.
“Lo dicevo io che quei ragazzi avevano troppi soldi...” sbraitava la cameriera dai denti invertiti.
“Non ho mai visto nessuno mangiare così tante patatine...”
“Sempre più giovani, sempre più criminali...”
“Ma cos’hanno fatto? Hanno ucciso qualcuno?” chiese l’Imam a Nasser.
“Hanno ferito una donna, erano ubriachi”
“Ubriachi a quell’età?” e partì una preghiera con una tonalità così alta che quasi tutto il quartiere si azzittì, come incantato da un flauto magico, mentre la camionetta della polizia si faceva largo tra folla, fango, carretti e altri veicoli che facevano a gara ad incastrarsi in ogni frammento di strada lasciato libero.
Davanti al District Police Officer, Hussein iniziò a raccontare un sacco di balle.
Bastò un interrogatorio separato e, mentre Kali veniva rincuorato a carezze e Moko raccontava la storia più vicina possibile alla verità, Hussein assaggiò i primi schiaffi della legge della sua carriera di ragazzo di strada, dopo aver provato ad offrire tutti i 30 mila scellini, che ovviamente gli furono requisiti, insieme al telefonino e alla spada che si illumina.
“Ci credi tu alla storia dell’ubriaco di Wajir?”
“Secondo me stanno proteggendo qualcuno”
“Appena troviamo questo Elias Kibunguchy, capiremo di più”
“Nel frattempo, dove li sbattiamo quelli?”
“Lasciamoli nella celletta. Portategli una caraffa d’acqua”
Dalla sim del telefonino risalirono ad un noto delinquentello di Soweto che entrava ed usciva di galera e questo non deponeva a loro favore, ma le foto nella scheda sorpresero gli investigatori.
“Ma guarda questi che vita hanno fatto...è un ristorante da 2000 scellini a persona...e il negozio di vestiti...pure le scarpe...ma qui sono a Kasarani...incredibile”.
Il giornalista locale Juma aveva l’acquolina in bocca.
“Guardale, guardale...tanto non puoi pubblicarle!”
“Dai James, la storia è bellissima...tre marmocchi che trovano 200 mila scellini a Wajir e se ne vengono a Nairobi a fare la vita da nababbi per tre giorni e girano indisturbati”
“Se è tutto vero...il capetto sembra invece essere uno di Pangani, ci voglio vedere chiaro in questa storia. Magari qualcuno li sta usando per giri ancora più grossi...”
“L’unico modo è liberarli e chiedergli dove vorrebbero andare”
“Sentiamo cosa ci raccontano di Pangani...”
“Resta il fatto che la detenzione di ragazzini in stato di fermo è contro la legge”
“E allora trovami qualcuno che li viene a reclamare, cervellone. Al lato attuale questi fantasmini non esistono”.
Non ci volle molto a capire che i tre non erano una baby gang né che facessero parte di alcuna organizzazione criminale.
Dopo due giorni Juma recuperò la zia di Hussein a Pangani e la portò in stazione di polizia.
La donna confermò che i tre abitavano a Wajir e il sunto della storia è diventato un articolo di cronaca, pubblicato da un quotidiano nazionale.
Per il giornalista, blogger e attivista Yassin Juma, come ha scritto sul suo profilo Facebook, resteranno “I tre piccoli moschettieri di Wajir”


NAIROBI – Se non fosse stato per un'incursione della polizia al Riverside, un popolare albergo  sulla 11th Street, a Eastleigh, tre ragazzini, due di 10 anni e uno di 11, potrebbero ormai essere vittime della strada dopo aver speso tutto il loro bottino.
Quando gli agenti, su segnalazione di Nyumba Kumi, hanno fatto irruzione nella loro stanza, hanno trovato vestiti firmati, scarpe nuove, oggetti di pregio, un telefono cellulare, oltre a una quantità indescrivibile di confezioni di dolciumi, biscotti e bevande, oltre a giocattoli e 30 mila scellini in contanti.
Mohamed Ismail, un leader della comunità di Eastleigh, che insieme al giornalista Yassin Juma, ha facilitato il loro rilascio dalle celle della polizia, dice che i giovani hanno persino cercato di corrompere gli agenti che li hanno arrestati.
"Non ho mai visto bambini così audaci e subdoli come quei tre ragazzi" ha dichiarato Ismail.
I ragazzini hanno dichiarato alla polizia che qualche giorno prima del loro arresto avevano raccolto circa 200 mila scellini caduti dalle tasche di un uomo ubriaco al famoso Ngamia Pub di Wajir.
Come i tre ragazzi siano riusciti ad arrivare a Nairobi rimane ancora un mistero. A quanto pare uno di loro ha una zia che vive a Pangani ed era già stato a Nairobi, quindi aveva un'idea di cosa avrebbero trovato nella grande città.
"Ho parlato con uno dei loro genitori – ha dichiarato Ismail - mi ha detto di lasciare che il figlio rimanga nelle celle della polizia o venga portato in un riformatorio, perché non lo avrebbe più ripreso a casa”.
La direzione dell'hotel ha detto al quotidiano che i ragazzi sono stati portati lì da un adulto.
“Non è nostra politica dare camere ai bambini, neanche se presentano un documento - ha detto il manager - Sono stati portati da una persona conosciuta, di cui abbiamo dato i dettagli alla polizia". Armati di almeno 150.000 e in una grande città; i tre ragazzi si sono imbarcati in un'ondata di visite e spese, comprando soprattutto vestiti e dolci. Durante il giorno, hanno assunto un tassista che li ha portati in giro per la capitale, con un lungo stop a Uhuru Park per scattare foto, come racconta Juma in un suo articolo. Hanno anche comprato due biciclette che avrebbero guidato la sera a Eastleigh. La loro avventura si è conclusa bruscamente dopo che uno di loro, durante le scorribande serali in bici, ha colpito una donna che ha avvertito le autorità di zona, facendo scattare l’arresto. Insieme a loro al Riverside Hotel sono state arrestate alcune prostitute, che giacevano con clienti. Uno dei ragazzi avrebbe anche raccontato di essere stato avvicinato da una di loro con intenzioni di molestare lui e i suoi amici.
Infine, con gli sforzi e l’unità dei leader della comunità di Eastleigh, i ragazzi sono stati rimandati a Wajir e consegnati ai loro genitori.
I 30 mila scellini e le due biciclette sono ancora alla stazione di Polizia di Pangani, in attesa che il presunto proprietario li rivendichi.


Il Garissa Express transita ad alta velocità, con il solito incedere un po’ sbilenco, imboccando un rettilineo contornato da alti alberi verdi. In lontananza il sole si appoggia alla montagna più alta del Kenya. Il riflesso del finestrino illumina tre volti: uno è quello di un bambino che dorme e sa cosa sognare, l’altro ha la smorfia triste di chi si attende frustate e sa che scapperà di nuovo, quando avrà braccia più forti per lavorare duro e testa per decidere da solo.
Il terzo, quello appoggiato al finestrino, strizza un occhio.
Forse al sole, forse al Dio della montagna, forse alla vita.

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