EDITORIALE
27-03-2020 di Freddie del Curatolo
“In quest’epoca di pazzi ci mancavano gli idioti dell’orrore”, cantava nel 1980 Franco Battiato, megafono alla mano, in “Bandiera Bianca”.
Quarant’anni dopo, in piena confusione mediatica da pandemia, l’informazione dovrebbe essere uno dei pilastri che reggono l’intero sistema “nervoso” e le fondamenta della speranza di uscire presto da una situazione senza precedente.
Un tempo in Italia gli idioti si divertivano con giochi magari provocatori, ma quasi mai pericolosi. Si occupavano di scioccare i benpensanti con l’orrore e con il porno (roba da niente, oggi) ed era la satira a fare allegramente la parte delle “fake news”.
Oggi purtroppo chiunque può sperare di monetizzare lanciando notizie false, partigiane, approssimative, tirate per i capelli, con titoli acchiappaclic e foto ritoccate. Più che idioti, volgari truffatori che giocano con i sentimenti, gli istinti e l’ingenuità dei lettori, approfittando del bombardamento di notizie. Ci sono migliaia di blog, testate, indirizzi di siti fittizi che durano l’arco di un weekend e cambiano connotati improvvisamente come un gancio sinistro di Mayweather.
Ma quando le notizie inventate, gonfiate e drammatizzate e i titoli acchiappaclic arrivano da un quotidiano nazionale, c’è parecchio da preoccuparsi e al disgusto deve far spazio l’azione.
E’ il caso di un articolo apparso due giorni fa su Repubblica, a firma Antonella Napoli (non un’esperta d’Africa, non una corrispondente, né tantomeno un’inviata della testata italiana.
“Coronavirus, Africa “Via l’untore bianco”. Dal Kenya all’Etiopia episodi di violenza contro statunitensi ed europei”.
Un delirio di non-notizie, superficialità e malafede in un momento in cui l'Africa è all'alba di quel che si teme possa essere un flagello anche peggiore di quello toccato al nostro Paese. C'era bisogno di una robaccia simile?
Provate a leggere l’articolo, rileggetelo e chiedetevi dove si ravviserebbero episodi di violenza, se ci sono luoghi, fatti, testimonianze dirette. E soprattutto da cosa, quali parole e fatti, si evince che anche in Kenya ci siano stati episodi simili.
Ecco il link.
L’unica testimonianza nell’articolo è quella di Padre Kizito Sesana, il comboniano fondatore della comunità di Koinonia a Nairobi, che sta tenendo un blog quotidiano sui social. Un bel “copia incolla” di qualche sua frase e il gioco è fatto.
E’ lo stesso Kizito a denunciare l’operazione fasulla e tendenziosa di Repubblica.
“Un'amica italiana che risiede a Nairobi mi ha scritto: Ma sei tu che ha scritto sta roba? – spiega Sesana - Prima che mi riesca di leggerlo mi arriva un messaggio di un amico napoletano, che è venuto a Kivuli già diverse volte, con la stessa segnalazione e la domanda incredula: “Ma è vero?”
In effetti l'ampio uso di citazioni dai miei post in questo pezzo fa credere al lettore che io condivida il titolo del breve articolo e la sua impostazione. Cosi non è. Non ho mai scritto o visto di persona ma neanche sentito parlare di “episodi di violenza fisica e verbale che hanno coinvolto in particolare statunitensi ed europei, tra cui molti italiani”. Alcuni opinioni della giornalista sono legate al mio virgolettato in modo che si potrebbe credere che la giornalista stia continuando ad esporre il mio pensiero. Cosi non è. Addirittura nel virgolettato ci sono piccole aggiunte, come “Il governo è pronto a schierare l'esercito” e “Così si rischia il disastro”. Quelle frasi, cosi come sono e come sono legate alla frase precedente non sono mie, e rafforzano l'impressione di una visione della società keniana che chi mi conosce sa bene non essere la mia.
Vivo a Nairobi, dove mi sono sempre sentito ben accolto, dal 1988. e qui godo dell'amicizia e dell'affetto di tanti Keniani. Alcuni di loro li considero miei maestri, altri miei figli. Questo articolo li offende.
Ho avuto in passato molti incontri, e anche profonde amicizie, con giornalisti professionisti de “La Repubblica” e di altri importanti mass-media e mai mi è accaduto che le mie parole siano state cosi mal interpretate. Che poi in un articolo - sia pur pubblicato solo online - di una testata che conosco come seria, sfugga un refuso come “missionario combiniamo” mi fa pensare che anche il livello dei correttori di bozze sia sceso parecchio”.
Anche Malindikenya.net ha deciso di rispondere a Repubblica, ma lo ha fatto direttamente, inviando una mail al direttore Carlo Verdelli.
Eccola
Buongiorno,
mi presento, il mio nome è Freddie del Curatolo, sono un collega e direttore del più seguito portale di informazione per gli italiani in Kenya.
In questo periodo di grande emergenza, confusione ed attenzione alle parole, considero la vostra Testata uno dei punti di riferimento di notizie fondate e di approfondimenti seri.
Oggi però sinceramente sono trasalito per la superficialità dell’articolo “Via l’untore bianco...” a firma Antonella Napoli e l’inutile e dannoso sensazionalismo del titolo stesso.
Io scrivo di Kenya, lo frequento da 30 anni e cerco di essere sempre aggiornato sulle altre Nazioni dell’Africa Subsahariana.
Scrivere di “caccia all’untore bianco” per sporadici episodi verbali che non vengono nemmeno approfonditi (perché sono evidentemente poca cosa) e citare il Kenya solo perché l’amico Padre Kizito spiega nel suo blog che gli europei non girano per Nairobi (per forza, quelli che non sono tornati in Patria sono chiusi in casa ben consci dell’arrivo del virus nella Capitale) o è insensato o, peggio, pretestuoso.
Anche ammesso che si volesse far intendere un presunto “razzismo di risposta” alla politica europea sui migranti, cosa che sinceramente a due guappi del quartiere di Arada ad Addis Ababa o ai cambisti in nero di Yaoundé poco importa, in questo caso il bersaglio è decisamente mancato.
In Kenya semmai sono sotto il mirino i politici locali, dato che l’untore numero 1 è un Vice Governatore della costa, tra l’altro nella regione più frequentata dai turisti italiani, che è stato arrestato per mancato rispetto dell’auto isolamento e, trovato positivo, ha rassegnato le dimissioni, più alcuni consiglieri provinciali di Nairobi tornati da Dubai.
I keniani sono semmai preoccupati dalla politica messa in atto dai propri governanti, che nel bloccare il Paese, i luoghi del commercio del terziario come mercati, chioschi, bar e ristoranti locali e le decine di migliaia di “boda boda” (i moto-taxi) rischiano di portare alla fame chi si guadagna quotidianamente il necessario per vivere. Negli slum di Nairobi, due milioni e mezzo di persone preferirebbero morire di Coronavirus, piuttosto che di fame e stenti. Gli si chiede di lavarsi le mani col sapone dove non c’è acqua per giorni interi e non ci sono soldi per il sapone. Sai quanto gliene frega a loro dell’Untore Bianco. Per parlare di Africa, come per tutti gli altri argomenti su cui non sono ferrato e spesso mi rifaccio, tra le altre fonti, a voi con fiducia, bisognerebbe conoscere la materia.
Sono certo che avete Signori Giornalisti per farlo.
Cordialmente, Freddie del Curatolo
Direttore Malindikenya.net – Il portale degli Italiani in Kenya
Al momento, non abbiamo ricevuto alcuna risposta...aggiungo che chiaramente non mi sentirei mai di escludere episodi di violenza ai danni di “mzungu” in questo periodo in Kenya. Ma a parte la criminalità endemica, sono certo che il movente al limite non sarebbe il razzismo, o il nostro “peccato originale”, ovvero semplicemente e dolorosamente la fame.
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