REPORTAGE
29-09-2020 di Freddie del Curatolo
Dopo tre giorni in savana, optiamo per un ritorno “morbido” nella (in)civiltà.
L’ultima giornata nairobina è dedicata alla creatività. La salutare immersione nella Natura selvaggia del Mara e il diluvio di animali ed emozioni ci ha reso invulnerabili per un po’, quindi abbiamo deciso di tornare prepotentemente nell’altro Kenya, quello metropolitano.
Niente masochismo, intendiamoci: ci occupiamo della Nairobi che dell’Africa cerca di sfruttare il coefficiente di libertà e le potenzialità di crescita in parallelo ai tanti mali della società contemporanea che anche questa Nazione sta, ahimè, assorbendo.
C’è ancora margine, e ce ne accorgiamo visitando due luoghi che, ognuno a suo modo, rappresentano la voglia di creare situazioni interattive, coinvolgenti e (d’accordo, non userò la parola “sostenibile” altrimenti poi faccio la figura di quelli che mettono ovunque il “pazzesco”) molto interessanti.
La prima tappa è un “village”, ma non nell’accezione popolare degli agglomerati di capanne, né in quella turistica delle strutture che oggi vengono chiamate resorte. Piuttosto guardare alla voce “village” nella storia “sixties” e “seventies” di New York, dove negli spazi creativi del Greenwich Village confluivano scrittori, musicisti, pittori e poeti e dove Bob Dylan conversava con Allen Ginsberg e Lou Reed prendeva qualcosa di forte con Andy Warhol.
Qui a Lavington nella ex tenuta privata del pubblicitario di origine australiana Andrew White è nato il “Creative Village” di Nairobi.
In principio erano due ville coloniali di pietra e massello, di cui una ricorda le canoniche medievali del Sussex ed è stata adibita a galleria d’arte ed arredata finemente di conseguenza.
Purtroppo la pandemia tutti i vernissage si è portata via (sul cancello c'è un graffito di tipo "Caution Radiation Area" che annuncia in maniera ironicamente torva la "Mask Zone") e quello spazio langue in attesa di essere irrorato di nuova cultura e talento. Nel frattempo però si lavora negli spazi aggiunti a cornice di un giardino favoloso, tra piante secolari e fiori multicromi. C’è uno studio di postproduzione video, un simposio di grafici per siti internet, una griffe di moda con lo studio di modelle collegato, una NGO nordamericana che prepara progetti sociali e convergono menti cittadine in grande commistione di razze e fasce d’età. Dulcis in fundo, uno studio musicale che abbraccia cinquant’anni di mondo delle note, tra la registrazione analogica e quella digitale. E’ l’orgoglio di White, che in gioventù è stato anche cantautore, prima di lasciar spazio a gente più brava, come ci racconta lui stesso, ma aver portato per primo i “jingle” in Kenya. Suo il primo spot della compagnia aerea Kenya Airways negli anni Ottanta, suo quello della Safaricom in tempi più recenti. Con Andy si può parlare di tutto: di scrittori keniani contemporanei geniali, musica e perfino di cultura e tradizioni Mijikenda, materia per cui mi presenterei tranquillamente ad un quiz.
Torneremo al Creative Village, magari per registrare un disco, chissà.
A pranzo decidiamo invece di visitare un altro spazio di cui ci hanno parlato: si tratta di un’isola verde di quelle che in principio erano la base dell’idea di agriturismo, ma che oggi in quella parola è rimasto solo il turismo in mezzo al verde e di “agro” spesso solo il prezzo e la propensione ad apparire su booking.
Nello scollinante quartiere boschivo di Loresho, ora facilmente raggiungibile dalla bretella che da Westland porta verso le Red Hills, hanno aperto lo “Shamba Cafè”, che è davvero un luogo sostenibile (ecco, l’ho detto! Pazzesco!). In un bell’appezzamento di terreno, saranno due acri, buona parte è dedicata all’orto, come dice la parola stessa “shamba”, dove si coltiva tutto quel che si mangia al ristorante a centimetro zero. C’è un supermercato di cose naturali prodotte in Kenya, un negozietto di artigianato e oggetti di riciclo, entrambi ricavati da un grande granaio, uno spazio dove gli espositori, perlopiù contadini o apicultori, possono proporre i loro prodotti e il grande ristorante in un secondo immenso capannone. Il resto è manto verde con giochi per bambini ed angoli di relax.
Ci si incontrano famiglie giovani, indiane e keniane, ed europei un po’ più vecchi, coppie di studenti e impiegati di multinazionali (non mi chiedete da cosa li riconosco, credo il sorriso, ma forse anche l’odore...comunque fidatevi). Un mondo misto e promettente a cui forse piacerebbe una dimensione più naturale e pulita del cosmo, a patto di avere una buona connessione wi-fi.
Per quanto interessante e promettente...domattina si torna verso l’Oceano Indiano, facendo un altro percorso e visitando altri luoghi.
A domani!
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