TRADIZIONI
24-12-2024 di Freddie del Curatolo
In Kenya il Natale è un momento di aggregazione, per la maggior parte della popolazione che è quella di religione cattolica. Sia che si tratti di comunità povere dei villaggi rurali, sia delle fasce medio basse nelle periferie e baraccopoli di città e cittadine, sia per chi lavora e guadagna e fa parte del Kenya che cresce e fa crescere, le festività sono il momento non solo per pregare e partecipare alle funzioni sacre, ma per condividere pane e companatico, come nelle più importanti cerimonie della famiglia e della vita.
Proprio per questo non può mancare, e si fanno anche grandi sacrifici per procurarselo, il capretto.
Solitamente acquistato per l’occasione, come avviene per matrimoni e funerali, sgozzato (ahimè) e lasciato a frollare all’aperto. Questo avviene soprattutto in provincia, dove le famiglie che si dedicano all’allevamento o hanno terreni, possono scegliere il cibo di Natale tra il loro bestiame.
Dove invece le condizioni di vita non lo permettono, come nelle metropoli ad esempio, si sostituisce il capretto con pollo o manzo, sempre però rigorosamente cotto sul barbecue: “Nyama choma”, piatto nazionale, con immancabili patate fritte e il kachumbari, insalata di pomodori, cipolle e lime con a volte aggiunta di cavolo bianco e peperone verde. Il contorno più usato è il riso, tanto che sulla costa e nelle regioni centrali, la carne può essere consumata anche stufata, nel classico “biryani” o nel “pilao”, ovvero mischiata al riso con spezie varie.
Per l'umanità più derelitta del Kenya, quella che è davvero povera perchè oltre a vivere sotto la soglia del dollaro al giorno non ha nemmeno un fazzoletto di terra, ovvero quella degli slum di Nairobi e Mombasa, c'è la speranza di partecipare alle tante cordate di beneficenza, dove Ong, missioni e associazioni locali distribuiscono cibo, solitamente carne e riso o fagioli.
Chi se lo può permettere invece, a Natale, cucina o compra anche un dolce. Solitamente il budino, perché uova e latte sono ingredienti facilmente reperibili nei villaggi, altrimenti per i più cittadini, torte con pan di Spagna e cioccolato.
La tradizione rurale vuole anche che per l’occasione vengano prodotte bevande alcoliche artigianali, birra di sorgo o mais, e sulla costa bevuto il classico “mnazi” fresco, che però se usato in quantità può fare danni. Altrimenti si consumano succhi di frutta che solitamente durante l'anno, per il loro prezzo, vengono snobbati, come quello di mandarino o di tamarindo. E chi a mezzanotte vuole sentirsi un po' "Re magio", acquista una bottiglietta da 375mm di brandy locale o whisky.
Secondo la tradizione, c’è sempre un membro della famiglia o della tribù che ha avuto più possibilità e fortuna, e torna al villaggio facendo dono di altre cibarie e dolci, con particolare riguardo per i bambini e per gli anziani, per cui vengono preparati anche alimenti che possono essere consumati senza dover masticare.
Ma al capretto di Natale è difficile rinunciare per chiunque, piuttosto sminuzzato e inghiottito, ma anche “mzee” ci tiene e non si stancherà mai. Se l’Africa fa festa, che festa sia.
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