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Ecco perché nella Contea di Kilifi non c'è terrorismo

15 anni fa l'unico attacco sulla costa, oggi prevenzione e progetti

08-05-2017 di Freddie del Curatolo

E' stato presentato recentemente dal Governo del Kenya in collaborazione con quello della Contea di Kilifi, un importante dossier sulla lotta alla radicalizzazione di matrice islamica dei giovani nella Kilifi County. 
Il piano d'azione che sta procedendo e inizia a dare i suoi risultati, è portato avanti con l'aiuto dell'Università di Taita e Taveta e l'Ambasciata Britannica, oltre che con la collaborazione di polizie speciali, enti ed associazioni.
D'altronde, come fa notare il Governatore Amason Kingi nell'introduzione del documento, non è un caso se l'ultimo episodio riconducibile al terrorismo nella Contea di Kilifi è avvenuto a Kikambala, praticamente al confine con la municipalità di Mombasa (allora non c'era ancora la suddivisione in contee data dalla devolution) nel novembre 2002.
Da allora, nonostante i tanti allarmi dati dai Ministeri degli Esteri degli Stati occidentali e, sempre a sproposito, dai media soprattutto italiani, a Malindi, Watamu, Kilifi e dintorni non si è verificato nessun altro episodio di violenza di matrice islamico-radicale.
Questo non significa che la minaccia non sia, almeno in minima parte, presente.
In questo la regione costiera del Kenya non si discosta dal resto del mondo. Dove c'è un'importante presenza della comunità mussulmana (e benché quella presente in Kenya rappresenti l'ala moderata dell'Islam) c'è sempre il rischio di estremismi, tanto più con la vicinanza di un cattivo esempio come la Somalia, con la sua cellula denominata Al Shabaab, ovvero "la gioventù".
E proprio dei giovani e di come tenerli al riparo dalle lusinghe della radicalizzazione, si parla in questo illuminante dossier.
Ad oggi, secondo le stime del rapporto Socio-Economico contenuto nel documento, i giovani che vivono nella Contea sono poco meno di 400.000 (393.385 all'inizio del 2017, per l'esattezza). Meno della metà (42,5%) sono impegnati nelle scuole secondarie (con leggera maggioranza di ragazzi).
Ma soltanto il 30% dei non studenti, secondo le statistiche, hanno un posto di lavoro, un impiego tra l'altro spesso non fisso.
Ne consegue che un giovane su tre sia "a spasso" e che cinquantamila ragazzi di sesso maschile vivano in condizioni di estrema povertà o di espedienti.
Ecco dove può attingere il radicalismo, chi cerca di arruolare.
Ed è qui che il programma dettato da questo "Action Plan" ha iniziato ad agire, mappando zona per zona ogni villaggio e i quartieri delle cittadine.
Ne viene fuori un quadro, come immaginabile, preoccupante ma prima ancora che per i rischi di coltivare piccoli terroristi come serpi in seno, per la situazione sociale delle nuove generazioni in generale. Il problema che appare più presente, ad esempio, è l'uso di sostanze stupefacenti e di alcool.
Tra gli obbiettivi che il piano d'azione porta avanti è la creazione di comunità di quartiere o di villaggio che siano collegate con le forze dell'ordine e costituiscano il primo allarme contro personaggi locali poco raccomandabili, o abitudini che cambiano e proliferano nei giovani.
Un'idea maturata sulla scorta di un sistema chiamato "Nyumba kumi" (dieci case) che sta funzionando in quartieri difficili e a maggioranza islamica come Shela a Malindi.
Ma non si tratta solo di prevenzione, vi sono anche obbiettivi strategici che riguardano il coinvolgimento dei giovani nell'arte e nella cultura, nella tecnologia e un accesso più facile all'educazione. Anche se la battaglia di sempre, la più difficile da estirpare, è quella contro la povertà.
 

TAGS: Kenya terrorismoMalindi violenzaKilifi County Extremism

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