L'ANGOLO DI FREDDIE
26-11-2022 di Freddie del Curatolo
Li abbiamo creati noi.
Perchè non siamo solo un popolo di eroi, poeti e navigatori (in internet) ma anche di sceneggiatori di cinepanettoni, specie quando sul set ideale della nostra vita appare la vacanza.
Negli anni passati l’italiano ridens ha esportato in Paesi poveri ma bellissimi dove abbronzarsi d’inverno e respirare libertà dimenticate, non solo la sua debole moneta ma anche l’innato umorismo. Ma non solo, quella verve simpatica ma per niente didattica di italianizzare qualsiasi cosa, per renderla più familiare.
Così a Malindi e Watamu i “Beach Boys” li abbiamo creati noi.
Chi altri sarebbe stato in grado di trasformare Mohammed in Massimiliano? Chi di chiamare un ragazzetto superdotato “Toblerone”?
Che poi quei nomi se li cuciono addosso, diventano dei veri e propri “marchi di fabbrica”: così altri Charo diventeranno Carletto e fioriranno soprannomi come nei quartieri periferici di Roma: lì ci sono “Er Patata” e “Er Cicoria”, qui abbiamo “Bancomat” e “Prezzemolo”.
Non molto tempo fa, passeggiando davanti al White Elephant, mi si presenta un rasta piccoletto non più giovanissimo: “Piacere, sono Mestolo, l’ottavo nano”. Sorridendo alla battuta, giusto per non deluderlo, immaginando però il suo disappunto non vedendomi rotolare sulla sabbia dal ridere, gli ho chiesto come mai si chiamasse Mestolo.
La spiegazione (a quanto assicurato dal mzungu che gli ha consigliato di chiamarsi così) dovrebbe incuriosire le ragazze e fare tanta invidia ai maschietti.
Mestolo, comunque, alla fine calza a pennello anche per chi si è intristito nell’ascoltare le motivazioni.
I nani vanno per la maggiore: oltre al buon Mestolo, che offre indifferentemente safari e conchiglie, ci sono anche Vongolo, che ha iniziato la carriera come venditore di molluschi e crostacei e Bombolo, che è grassottello e potrebbe far da spalla a Thomas Milian meglio dell’originale.
Poi ci sono i musicisti: a Watamu abbiamo Zucchero, Vascorossi e Ramazotti (rigorosamente con una sola Z), se chiedete di loro con i veri nomi, Kalume, Said e Festus, non li conoscono nemmeno più i loro compaesani.
I più fortunati sono quelli che sono stati ribattezzati così da veri geni del calembour, da artisti della battuta, in vacanza in Kenya per puro caso, tra una partecipazione a “La sai l’ultima” e un corso di accensione scorregge col fiammifero a Fregene.
Grazie a loro il buon Kitsao è diventato Schizzao, Kalama si è trasformato in Calamaro, Katana Nzaro viene contratto in Catanzaro.
Infine, siccome siamo un popolo di eroi, navigatori, cabarettisti e commissari tecnici, non potevano mancare i calciatori: a Malindi potete chiedere di Totti e Il Pupone, e vi stupirete che non si tratti della stessa persona, poi abbiamo Drogba (ex spacciatore di serie B?), Etò (ma non voleva essere l’ex campione camerunese dell’Inter, semplicemente un bergamasco lo aveva chiamato da lontano) e Gattuso, che è un barcaiolo che evidentemente non conosce l’originale a cui è ispirato il suo soprannome, altrimenti si sarebbe risentito parecchio con chi lo ha chiamato così la prima volta.
Per terminare la carrellata, non potevano mancare i politici. E anche qui, quando si presentano, tutti a sbellicarsi dalle risate! Fa davvero sganasciare, vedere un africano accoglierti su un isolotto assolato (che tutti chiamano come? “Sardegna 2” ovviamente…), tra l’azzurro cristallino del mare e un cielo blu intenso, nel silenzio impreziosito dalle onde che si infrangono sulla barriera corallina, “piacere, mi chiamo Salvini”. Potete immaginare il livello delle battute che si susseguono, da parte dei nostri connazionali in libera uscita sulla barchetta. “Ah, ecco…se eri Renzi non ti davo neanche cento scellini” oppure “Uè Salvini, ma tu sei nero...cosa fai, ti odi da solo?”. Se lo sapessero i nostri leader, che la cosa fa così ridere gli italiani, potrebbero pensare che funzioni anche all’incontrario, presentandosi in televisione con un “buongiorno italiani, mi chiamo Kazungu”.
Ma in un Paese che per corruzione è ai livelli dell’Uganda e il cui Pil cresce meno di quello keniota, potrebbe anche essere frainteso.
No, non c’è bisogno di fare i brillanti a tutti i costi, di scervellarsi per trovare la battuta o il doppio senso.
Da un po’ di tempo a questa parte noi italiani siamo talmente bravi a far ridere tutti quando ci prendiamo sul serio, che non ne vale proprio la pena.
Il minimo che potevamo fare in vacanza era far crescere un popolo “da spiaggia”.
E ora, senza più turismo italiano?
Ciliegia tornerà ad essere Kienyeji?
Abramo riprenderà la sua vita da Ibrahim?
Va bene, il nome può essere un optional, quel che conta è la professionalità acquisita. Quindi, come dice la canzone, non chiamateli più “Beach Boys”, ma Beach Operators. Vi ringrazieranno sorridendo insieme a voi, predisponendo il pollicione ai selfie e gridando all’unisono: “ITALIA UNO!!!”.
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