L'ANGOLO DI FREDDIE
03-01-2024 di Freddie del Curatolo
Eroe è una parola-tovagliolo, di quelle con cui troppo spesso ai nostri giorni ci si pulisce la bocca e si spolvera la coscienza.
Un appellativo che nell’antichità era riservato a semidei che quasi sempre erano chiamati ad imprese epiche immani (non che non ci fossero portati, come Eracle ad esempio, difficile da immaginare impiegato in un’azienda di feta o Giasone, operaio specializzato in una pelletteria).
Parola che la letteratura durante il romanticismo ha sublimato per definire chi soffriva della natura avida, violenta e stolta dell’uomo, si struggeva e spesso si suicidava (oggi i social e i media che ci campano sopra, più che eroi, chiamerebbero il giovane Werther e Jacopo Ortis, coglioni) e che in tempi di guerre e rivoluzioni è diventato l’Oscar degli eserciti e dei loro condottieri o comprimari, dal Garibaldi dei due mondi al sergente York, emblema degli americani che celebrano eroe chi ammazza da solo più di venti nemici in guerra.
Oggi “eroe” è un titolo che non costa nulla affibbiare a chiunque: è eroe il pompiere che estrae la nonnina dalle fiamme del quinto piano, il papà cinquantenne sovrappeso che annega in mare per infarto dopo aver salvato il figlio che si era spinto troppo in là a nuotare. Poco importa se il pompiere ha fatto il suo dovere e dopo quell’azione ha chiesto 60 giorni di ferie per le scottature e lo stress patito e se il genitore sulla spiaggia si era distratto guardando minchiate sul telefonino e aveva perso di vista il figlio.
Forse per questa degenerazione del concetto di eroismo, l’industria dello spettacolo ha inventato i “supereroi”, che rimettono un po’ a posto le cose: lascia fare a loro, se salvi un gattino che miagola sul tetto sei uno che non ha un cavolo da fare e al massimo ti guadagni la stima di una zitella sessantenne spettinata che poi ti chiede anche altri favori in nome dei suoi 75 cuccioletti, per le celebrazioni più importanti, invece, non ci sarai mai a ricevere gli onori, e non finirai in un eterno libro epico.
Ci sarà invece tua moglie che piange al funerale e un bell’articolo sul quotidiano della provincia che storpierà anche il tuo cognome.
In Africa, l’eroe torna ad essere favola, figura retorica, sogno.
Nei casi estremi, torna al significato originario del termine: “colui che di fronte al pericolo, combatte le avversità attraverso imprese di ingegno, coraggio o forza fisica che possono comportare il consapevole sacrificio di sé stesso, allo scopo di proteggere il bene altrui o comune”.
Quale pericolo maggiore di non riuscire a portare a casa, a fine giornata, un pasto per sé e per i propri cari?
E allora batti il ferro più forte e più in fretta, fabbro, crea un letto e un divano più belli, falegname, spaccati la schiena di più, scaricatore di carbone che non hai avuto la possibilità di andare a scuola.
Accudisci figli e il nipote di tua figlia violentata a 13 anni e contemporaneamente coltiva l’orto, raccogli legna, trasporta 50 litri d’acqua al giorno, donna.
Ogni giorno migliaia di piccoli, inconsapevoli, non celebrati eroi si muovono e compiono azioni così ordinarie che al giorno d’oggi diventano straordinarie.
In un mondo in cui l’istruzione, la cultura, l’educazione vengono relegate nei bassifondi delle necessità che aiutano a realizzarsi e vivere meglio, ad esempio, vedere bambini che ogni giorno affrontano dieci chilometri a piedi per andare ed altri 10 per tornare da scuola, nella speranza di cambiare la loro vita e quella delle loro famiglie, è vedere atti d’eroismo.
Cosa può pensare di loro, un coetaneo della provincia italiana, oltre che “poverini”?
Di sicuro non penserà mai “per fortuna io non sono costretto ad essere un eroe” e, più probabilmente, riterrà che essere un eroe è proprio un grande errore.
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