Racconti

I RACCONTI DI CLAUDIA

Kariuki

LO SGUARDO IRONICO E GARBATO DI UNA DONNA CHE HA VISSUTO A MALINDI

27-01-2010 di Claudia Peli

Ogni anno, con l’inizio della stagione lavorativa, io e il manager del personale facciamo i colloqui per l’assunzione  dei nuovi praticanti per il dipartimento housekeeping.
I posti liberi sono pochi, a me dispiace, perché prenderei tutti i ragazzi che se ne stanno per ore accucciati sotto il sole fuori in strada in cerca di un lavoro.
Ma non si può fare: ci sono delle regole.
La prima mattina delle selezioni, fuori dalla porta di Mr. Otieno, c’era già un folto gruppo di giovani che aspettavano di essere chiamati ad entrare.
Erano arrivati presto, dai loro villaggi, tutti motivati dalla stessa cosa: la speranza di imparare una professione e di guadagnare dei soldi.
Erano allegri e loquaci, ma quando mi videro si fecero seri di colpo e ammutolirono. Si chiedevano, perplessi, cosa ci facesse lì una mzungu.
Jambo! Kilakitu sawa sawa?” Li salutai sorridendo.
Annuirono tutti e ricambiarono il sorriso.
“Fra pochi minuti cominciamo, vi chiameremo uno alla volta. Ok?”
Asante mama.” Rispose qualcuno.
Questi ragazzi, presi singolarmente, sono timidi e impacciati.
Hanno da poco terminato gli studi e sono quasi sempre al primo colloquio di lavoro: comprendo bene il loro imbarazzo.
Si mostrano educati e vengono ben vestiti: probabilmente qualcuno si fa prestare gli abiti buoni dai parenti per fare bella impressione e avere una chance in più.
Quel giorno ne intervistammo una decina, e uno di loro mi colpì particolarmente.
Si chiamava Kariuki, era un giovane kikuyu. Parlava un ottimo inglese e non era per nulla intimorito dalla mia presenza.
Gli feci le domande di rito e mi piacquero le sue risposte chiare e intelligenti. Per ultimo gli chiesi se voleva fare carriera nel dipartimento housekeeping.
Kariuki scosse la testa e mi rispose che aveva altri progetti per il futuro: lui voleva diventare giornalista.
Io e mr. Otieno ci guardammo perplessi e divertiti, pensammo fosse una battuta.
“Kariuki, lo sai che qui imparerai a lavare i pavimenti, cambiare le lenzuola e pulire i bagni?” Gli chiesi con voce seria.
“Sì, lo so.”
“Otto ore al giorno tutti i giorni.”
“Certo, per adesso va bene.” Mi rispose.
Quando lo congedai ed uscì dall’ufficio, chiesi a mr. Otieno cosa ne pensasse.
“Questo ragazzo è diverso. Basta guardare la sua documentazione: l’esito dei suoi esami scolastici, ha preso A. E’ il voto più alto, di solito quelli come lui vanno dritti all’università.” Mi spiegò.
“E cosa ci fa qui allora?”
“Probabilmente non ha i soldi. Tanti ragazzi hanno le capacità, ma non hanno i mezzi per realizzarsi.”
Terminammo i colloqui una settimana dopo e convocammo i nuovi sei apprendisti: Kariuki era uno di loro.
Chiesi alla mia assistente di farmi un resoconto settimanale sul loro rendimento. Ogni lunedì le sue lodi erano per Kariuki, che imparava in fretta e non commetteva errori. Sapeva ottimizzare il tempo ed era di esempio agli altri in quanto ad efficienza.
Anche gli ospiti fissi dell’hotel cominciarono a prenderlo in simpatia e spesso mi dicevano che era un ragazzo sveglio e in gamba.
Kariuki si impegnò molto per tutti i tre mesi del training e fu poi premiato con l’assunzione per la stagione.
Era al settimo cielo quando glielo comunicai.
“Asante sana, lavorerò tanto, metterò da parte tutti i soldi e l’anno prossimo mi iscriverò all’università.”
“La tua famiglia non è in grado di aiutarti?” Gli chiesi.
“Non ho più i genitori. Ho un fratello a Nairobi, lui forse un po’ mi aiuterà.”
Ho capito subito che non era una bugia e che ce l’avrebbe fatta, perché aveva una forza di volontà fuori dal comune e un gran cervello.
La stagione terminò.
A maggio salutai  i ragazzi del mio team e tornai in Italia per le vacanze. Quando rientrai al lavoro a luglio li ritrovai tutti lì al loro posto, tranne Kariuki.
“Che fine ha fatto?” Chiesi a mr. Otieno.
“Quello che aveva sempre detto: è partito per Nairobi.”
Mi rispose contento.
Un paio di settimane dopo ricevetti una telefonata: era lui.
Mi informò che si era iscritto all’università, che viveva da suo fratello e che era felice. E poi, con grande umiltà, mi ringraziò per il lavoro che gli avevo dato: così era riuscito a realizzare il suo sogno.
“Sono felice per te. Diventerai un bravo giornalista, e io ti leggerò sul Nation, eh?”
“Certo.” Mi rispose orgoglioso.
“Maisha bora Kariuki.”
“Maisha marefu Claudia.”

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