I RACCONTI DI CLAUDIA
16-07-2009 di Claudia Peli
Da qualche giorno a questa parte trovo ogni mattina sulla mia scrivania una bella noce di cocco fresca con la cannuccia.
Mi dico che è un pensiero gentile da parte di Yongo, il cameriere, ma sicuramente c’è sotto qualcosa.
Mi aspetto che da un momento all’altro venga a battere cassa.
“Ti piace cocco, mama?”
Mi chiede una mattina che mi vede di buon umore.
“Sì Yongo, è molto buono, asante sana.”
“Latte di cocco fa bene alla pancia. Io so.”
Mi dice con tono saccente.
“E chi te lo ha detto?”
“La cliente di 711, lei tutti giorni vuole cocco fresco, e io porto.”
“Bravo, e gli altri nostri ospiti? Anche loro lo gradiscono?”
“Se loro chiedono, io porto haraka haraka. Io bravo cameriere.”
“Lo so Yongo, ecco perché lavori qui nel mio team. Ora puoi andare, devo lavorare, guarda qui quanti documenti da controllare e firmare.”
E mi concentro sulla cartelletta colma di fogli.
Ma Yongo non se ne va, si allontana solo un paio di metri, si appoggia alla colonna e mi studia.
Non sa se è un buon momento per provare a parlarmi oppure no.
So che vuole chiedermi qualcosa, lo so da diversi giorni e sono pronta.
Se mi chiede un altro giorno libero per andare al funerale dell’ennesimo cugino di quinto grado deceduto dall’altra parte del Kenya, gli rispondo che siamo in alta stagione e non si può.
Se mi chiede ancora un prestito per curare il fratello o la nonna o la figlia che hanno una presunta malaria, lo mando all’ufficio del contabile.
Se mi chiede un’uniforme nuova, perché questa gli sta un po’ stretta, gli rispondo che il sarto gliene ha già fatte due su misura e che deve smettere di abbuffarsi alla mensa dello staff.
Yongo si avvicina e si schiarisce la voce, fa un bel sorriso e mi dice:
“Sorry mama, posso disturbare momento?”
“Dimmi, ti ascolto.” E lo guardo dritto negli occhi.
“Tu va Italia prossimo mese, eh?”
“Certo, ve l’ho detto durante la riunione, a settembre starò via una settimana. Torno a casa a trovare la mia famiglia.”
“Quando torni qui tu portare me regalo piccolo piccolo, eh?”
Ecco cosa voleva, il souvenir italiano!
Anche l’autista ieri mi ha chiesto se gli porto un cappellino per suo figlio. Va bene, penso, a lui porterò una maglietta, magari della squadra di calcio per cui fa il tifo.
“Certo Yongo, ti porterò qualcosa.”
E gli faccio cenno che può andare, ma lui resta lì immobile.
“Mama, io voglio iPod Shuffle verde.” Mi dice serio e determinato.
Io lo guardo sbalordita. Ma come gli è venuto in mente?
“Ma Yongo, sei matto?”
“Cliente di 711 avere iPod Shuffle, bellissimo, dice che dentro cento canzoni, duecento! Anche io voglio tanto mama. Tu compra, eh?”
“Ma Yongo, quello non è un regalo piccolo, è un regalo grosso, costa tanti soldi… capisci?”
Ma lui sorride e scuote la testa e insiste che è un dono piccolo, che è più piccolo del suo pollice, davvero. E mi mostra il suo dito misurandolo.
E io resto spiazzata, come la maggior parte delle volte che tento di fare ragionare queste persone dal cervello semplice con cui convivo quotidianamente. Ed ogni volta non ci capiamo, per forza, la discrepanza culturale è troppo forte e da qui nasce l’incomprensione.
Ora potrei perdere mezz’ora buona per fargli capire che il costo dell’oggetto in questione non è proporzionale alle sue dimensioni, ma siccome tra dieci minuti devo essere nell’ufficio del direttore a parlare di budget e forniture di detergenti, decido di opporre un cordiale ma deciso no a Yongo.
“Mi dispiace Yongo, non posso comprarti l’iPod Shuffle. Non ce l’ho neppure io, sai?”
E il bambino capriccioso e testardo che c’è dentro il mio cameriere africano arriccia le labbra deluso e guarda in basso e alza le spalle.
“Fa niente mama…” E si allontana deluso.
Lo sento parlottare con i suoi colleghi dietro la siepe per qualche minuto, poi sento delle risate.
Ecco, alla fine l’hanno presa bene: ne ridono pure; e questa è una cosa che apprezzo molto degli africani: malgrado l’insuccesso del piano sanno farci sopra una bella risata.
La mattina dopo la noce di cocco sulla mia scrivania naturalmente non c’è più, e neppure quella successiva.
Ma non sono stupita.
“Yongo, ma il mio latte di cocco fresco?” Gli chiedo un po’ delusa.
“Sorry mama, cocco finito.”
“Ma se le palme sono piene … guarda là.”
Gliele indico col dito.
Yongo sospira e scuote la testa, accenna un sorriso furbo.
“Allora tu chiede shamba boy. Lui prende noce per te. Io adesso tanto lavoro.”
Si sistema il farfallino nero al collo e col vassoio sotto il braccio si avvia verso la sala ristorante.
Hakuna matata, penso.
Qui funziona così.
Poi oggi a dir la verità avevo voglia di succo di mango.
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