ECOSISTEMI
21-10-2023 di Leni Frau
Il governo keniota ha detto basta, o almeno questa è l’intenzione: le foreste del paese non possono più essere invase e saccheggiate, con disboscamento illegale e creando recinzioni, se non addirittura costruzioni abusive di cemento.
Dopo un’indicazione del presidente William Ruto che riguardava l’urbanizzazione della foresta di Mau nella Rift Valley, la più grande foresta montana indigena dell'Africa orientale e che ordinava l’immediato sgombero di chi vi si era insediato, la ministra dell’Ambiente, Soipan Tuya ha annunciato un’operazione di sicurezza non solo nella Mau Forest, ma in tutte gli altri ecosistemi forestali nazionali che sono a serio rischio di attività umane illecite. Per questo motivo, recentemente 23 dipendenti del Kenya Forest Service sono stati sollevati dal loro incarico.
Le più importanti foreste del Kenya, oltre alla già citata Mau, sono: la foresta di Kakamega, recentemente alle prese con saccheggi perché vi sono stati trovati giacimenti d’oro, la Arabuko-Sokoke nell’entroterra di Malindi e Watamu, ambita per legno e terre rare (con tentativi da parte di cinesi ed altri paesi orientali di “lottizzarla”), la foresta delle Cheranganyi Hills, quella di Loita nel Maasai Mara, la Ngong Forest fuori Nairobi, decimata dagli insediamenti umani, le Kayas, foreste sacre dell’etnia Mijikenda nella contea di Kilifi, che sarebbero patrimonio mondiale dell’Unesco ma di fatto sono invase da tempo da abitazioni e miniere, la foresta lavica di Otutu, sul lago Elmenteita, quella del cratere Menengai, la foresta di Ngangao sulle colline di Taita ed un’altra decina almeno minori.
Le foreste sono una delle grandi risorse dell'economia del Kenya, non solo polmoni verdi e “torri d’acqua”, ma anche un bene per l’agricoltura e, non ultimo, per il turismo. Eppure in meno di trent’anni si sono ridotte dal 25% per cento all’attuale 7,2 per cento del territorio del paese, ovvero 3 milioni circa di ettari.
Se la raccolta del legname fosse regolamentata, potrebbero anche restare fondamentali per fornire aiuto a chi vive nelle sue vicinanze, così come medicine naturali, piante edibili ed a mantenere un’elevata biodiversità animale. Senza contare le attività ecosostenibili che impiegano direttamente oltre 750 mila persone e indirettamente danno da vivere a 4 milioni di keniani.
Le foreste, oltretutto, com’è noto contribuiscono inoltre a mitigare i cambiamenti climatici nel Paese.
Le cinque foreste montane del Kenya (Complesso forestale di Mau, Monte Kenya, Aberdares, Monte Elgon e Cherangani), chiamate "torri d'acqua" per la loro capacità di immagazzinare acqua durante la stagione delle piogge e di rilasciarla lentamente durante i periodi di siccità, forniscono il 75% delle riserve di acqua dolce del Paese.
Il Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente (UNEP) ha stimato che tra il 2000 e il 2010 oltre 28.000 ettari di foresta sono andati persi da queste torri d'acqua, con una conseguente riduzione della disponibilità idrica di circa 62 milioni di metri cubi all'anno, che significa non solo sopravvivenza ma anche mancanza di energia idroelettrica. I costi che ne sono derivati per l'economia del Kenya hanno superato di gran lunga i guadagni finanziari derivanti dalla silvicoltura e dal disboscamento nello stesso periodo.
Si calcola in almeno 68 milioni di dollari il danno economico ricevuto.
Tra i problemi delle foreste, c’è da segnalare anche quello degli ecosistemi di mangrovie sulla costa: si stima che tra il 1985 e il 2009 sia andato perso il 20% della copertura di mangrovie, soprattutto a causa dell'espansione incontrollata di strutture turistiche e speculazione sui terreni, dovuta alla mancanza di progetti che lo obblighino ad essere sostenibile.
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