MALARIA
06-09-2017 di Freddie del Curatolo
Uno dei rimedi più semplici e sicuri per la malaria, oggigiorno, è curarsi con medicinali a base di artemisinina e utilizzare la combinazione di due farmaci che stroncano la parassitosi una volta insorta.
All’insorgere della febbre alta, a questo punto non solo per chi è stato in Paesi dove la malaria è endemica, ma anche in quelli a rischio come ormai l’Italia, è sufficiente fare il vetrino per assicurarsi che non si tratti di una semplice influenza o di altra infezione, e poi iniziare la cura.
In Kenya l’artemisinina, soluzione medicinale di un'antica pianta cinese, è stata introdotta più di dieci anni fa e ha dato ottimi risultati, ma soprattutto ha instillato una nuova percezione nei medici e nei pazienti, quella che la profilassi non sia una cura, e sia un metodo superato, oltre che dannoso e non sicuro.
Così come i kenioti non potrebbero mai prenderla in esame (perché con il rischio malaria continuo, non sarebbe possibile attuare una prevenzione del genere continuamente, semmai si attende il vaccino per bambini e anziani) ora anche in Italia, per l’esatto motivo opposto, ci si dovrebbe pensare.
La malaria, come nel caso recente della sfortunata bimba di Trento, può essere contratta improvvisamente per altre cause, ovvero quando una zanzara non anofele si fa vettore della malattia da un’altra persona infetta, o quando le anofele vengano importate e resistano (complice l’aumento delle temperature estive e dell’umidità).
In Kenya certe cose si sanno ed ogni medico è preparato, il kit combinato per curare facilmente la malaria, che non è una malattia che può fare paura, se presa in tempo (esattamente come le infiammazioni, la polmonite ecc…).
“Il kit combinato per la malaria – spiega il dottor Mauro Saio, uno dei massimi esperti di malattie un tempo definite “tropicali”che vive e lavora da oltre trent’anni in Kenya – è pratico, sicuro e ha costi ridotti. La profilassi è ormai inutile, oltre che dannosa”.
Resta da capire se da noi l’antica logica della “cura preventiva”, così superata e provinciale, che non tiene conto del mondo globalizzato, delle migrazioni, del cambiamento climatico e delle distanze ormai azzerate tra continenti, verrà messa da parte da un Ministero della Salute italiano allo sbando come il resto del sistema governativo e dalle multinazionali farmaceutiche che continuano a marciarci sopra, insensibili ai problemi che possono causare alle persone.
Il problema, ovviamente, non riguarda solo il Belpaese, ma quasi tutti i Paesi europei.
La lentezza dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, che già alla fine del 2015 ha dato virtualmente il via libera al farmaco prodotto dal colosso Novartis in tutto il mondo, va di pari passo con la sperimentazione del vaccino.
Fatto sta che per adesso chi vive in Italia se lo deve portare dai Paesi africani o deve andarlo a recuperare in Svizzera e quel che è peggio che i medici italiani quasi ne ignorano l'esistenza, continuando a suggerire la profilassi.
Il Terzo Mondo (che in alcuni casi non è più tanto "terzo"), abituato da sempre a convivere con queste logiche, ne ha sviluppato prima gli anticorpi e in questo caso può dare una lezione al vecchio (e un po’ rimbambito) Continente.
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