Natale, per i keniani, significa soprattutto tornare a casa.
Alla propria casa, quella dove si è nati e dove ancora vivono i parenti e gli amici d’infanzia.
Dato il retroterra cristiano, sia cattolico che protestante, il richiamo dell’infanzia è anche un richiamo di chiesa, dove bene o male tutti (tranne le minoranze islamiche, ovviamente, più presenti sulla costa, e i keniani di origine indiana) si sono recati fin da piccoli.

Quasi tutti cercano di essere a casa almeno per la vigilia, in modo da potersi occupare dei preparativi per la propria famiglia o, a seconda del loro status economico, per tutto il villaggio e la parrocchia locale.
Spesso si tratta dell’unica occasione per i parenti e le loro famiglie, dislocate non solo in tutto il Kenya e l’Africa, ma anche in altri continenti, per riunirsi e ritrovarsi.

Le case e le chiese sono spesso decorate con palloncini colorati, nastri, decorazioni di carta, fiori e foglie verdi. In Kenya, e questa è una particolarità, l’albero più usato per le decorazioni natalizie, è il cipresso.
Molte persone, soprattutto i cristiani, si recano alla funzione religiosa di mezzanotte per celebrare il Natale. Una vera e propria “veglia” chiamata “Kesha”, con inni, canti e canzoni natalizie e spesso rappresentazioni della natività, poesie e danze.

E’ tradizione indossare un vestito nuovo, per Natale, specialmente per marcare il passaggio di un anno da parte dei propri figli. Se proprio non si riesce ad acquistare un nuovo abito, si utilizzerà quello più sfarzoso e importante. Anche i regali di Natale seguono quest’ottica: quelli per i bambini sono soprattutto indumenti e scarpe. In second’ordine cioccolata e dolciumi.
Alcuni si recano in chiesa anche la mattina di Natale, se non hanno ecceduto con i festeggiamenti, perché durante il Natale vengono preparate anche bevande alcoliche artigianali.

Il giorno di Natale difficilmente può trascorrere senza un pranzo che si protrae fino a cena ed i piatti sono quasi sempre a base di carne: sono state sacrificate mucche o capre per l’occasione, ma anche i polli fanno bella mostra su una grilla. “Nyama Choma Krismasi”.
L’accompagnamento è a base di riso, patate fritte e chapati.
Anche le famiglie più povere, fanno di tutto per passare una giornata con carne e qualche segno di benessere e se proprio non ce la fanno, ricevono doni da altre comunità o da organizzazioni missionarie.

Quest’anno in particolare, la crisi economica e l’inflazione hanno costretto molte persone a limitarsi al viaggio, più costoso che mai anche per l’aumento record del carburante, arrivando a mani vuote al proprio villaggio. L’importante è comunque fare comunità, stare insieme e condividere quello che si ha.
Quel che non cambierà mai, in Africa, è la voglia di scrollarsi di dosso i pensieri, pregando e mettendosi a cantare tutti insieme gli inni al Signore, roba che in Italia ormai fanno solo gli anziani o gruppetti di anime pure che quasi tutti considerano un po’ suonati o inguaribili bigotti.
Qui invece è una di quelle abitudini che restano, aggregano e portano la speranza sotto forma di condivisione. “Hery ya krismasi”, Buon Natale!

Foto: Osborn Macharia