Editoriali

KENYA E REGNO UNITO

Re Carlo e un teschio keniota ad Halloween

I dilemmi alla prima visita ufficiale del sovrano

30-10-2023 di Freddie del Curatolo

La visita di Re Carlo III e della regina Camilla in Kenya, da domani per quattro giorni sarà l’argomento non solo mediatico nazionale.
La sua prima uscita ufficiale da Londra non ha unicamente un grande valore simbolico perché il figlio di Elisabetta che seppe di essere diventata regina a due passi dal Monte Kenya, ha scelto l’ex colonia africana del Regno Unito a cui tutta la famiglia da sempre è affezionata, ma perché sta scoperchiando vasi non proprio di Pandora e aprendo scheletri in armadi d’antan in stile impero ma anche di più moderne eredità.

Il dibattito è sul fatto che King Charles, come non ha mai fatto apertamente la madre, ha la possibilità di seppellire definitivamente nella terra rossa della savana keniota le scorie coloniali, proprio nell’anno in cui cade il sessantesimo anniversario del paese dalla sua indipendenza.
Piaghe e ferite che appartengono più ai ricordi dei veterani Mau Mau e alle comunità tribali, che da decenni chiedono risarcimenti per le lande ancestrali defraudate, le popolazioni indigene sfruttate, i ribelli uccisi o segregati, tesori culturali e reliquie religiose saccheggiati.

Parlando di scheletri negli armadi, non può sfuggire all’attenzione il fatto che Carletto d’Inghilterra atterri a Nairobi proprio il 31 ottobre, nel giorno di Halloween.
E quasi ci fossero energie ancestrali e un po’ macabre, nell’attesa dell’evento, è balzata alla cronaca, tra le varie richieste dei keniani ad Albione di riparazione alle “mostruosità” del passato, quella degli anziani capitribù Nandi dell’etnia Kalenjin, da cui peraltro proviene anche l’attuale presidente William Ruto, che sarà all’aeroporto ad accogliere in prima persona il Re.


La comunità Nandi, per voce del consiglio degli “elders”, ha chiesto espressamente che la visita di Carlo III possa coincidere con la restituzione di un teschio appartenente al loro "Orkoiyot", ovvero storico capo spirituale e militare, Koilolel Arap Samoei, ucciso a tradimento dall’esercito coloniale britannico centodiciotto anni fa e le cui spoglie furono trafugate e portate oltremanica.

La storia è nota a pochi: nel 1905, un colonnello dal nome poco “british” ma dalle maniere non avulse dalle sue probabili origini, Richard Meinertzehagen, dopo la strenua resistenza di Samoei, lo invitò ufficialmente ad una riunione per concertare una tregua, per poi ucciderlo insieme ai suoi fedelissimi.
Da ricerche effettuate da uno dei bisnipoti di Samoei, che peraltro ha lo stesso cognome di Ruto, sembrerebbe che il cranio del defunto capo Nandi sia conservato negli antri di un museo di Cambridge o dintorni.
"Ci appelliamo a Re Carlo, dobbiamo ottenere che il cranio venga riportato a Nandi per una sepoltura onorevole" ha dichiarato il bisnipote in televisione.

Sicuramente William Kipchirchir Samoei arap Ruto (questo il nome per esteso del leader keniano, dove “arap” in lingua Kalenjin significa “figlio di”) avrà ben altro di cui discutere con il sovrano del Regno Unito.
Ruto, classe 1966, fa parte della nuova generazione, quella nata quando il Kenya era già una repubblica indipendente, anche se ancora legata da cordoni ombelicali economici, burocratici e culturali.


C’è ad esempio la questione della BATUK, la base militare di addestramento delle truppe britanniche a Nanyuki, dove ogni anno convergono giovani virgulti carichi di ormoni e non sempre di buoni sentimenti.
Tra le varie denunce arrivate nel corso degli anni dalla popolazione locale nei loro confronti (tra cui l’accusa di utilizzare armi chimiche nocive per gli agricoltori), emerge anche il delitto irrisolto della giovane “ragazza di vita” Agnes Wanjiru, avvenuto nel 2012, molto probabilmente per mano di uno o più militari della base.
Le confessioni di alcuni ex commilitoni, avvenute due anni fa, avrebbero portato a qualcosa più che un sospetto e ad alcuni nomi ma, fino ad ora, gli accordi tra Gran Bretagna e Kenya prevedono che i processi ai membri dell’esercito che si macchiano di crimini nel paese africano ancora nel Commonwealth, siano allestiti in patria.


Proprio sulla spinta della “strana” lentezza nelle indagini e del sentore di impunità rimbalzato come spesso accade ultimamente dai social alle opinioni pubbliche che contano, nel giugno di quest’anno è stata approvata in parlamento una nuova legge che permetta alla giustizia keniana di processare in casa propria “qualsiasi straniero in qualsiasi posizione e grado”, quindi implicitamente anche i soldati della Regina, su cui pendano capi d’accusa.


Per adesso l’unica concessione fatta a Londra è che la legge non sia retroattiva, quindi ci vorrà ancora tempo per conoscere la verità su quel sabato sera di nove anni fa, dove nelle stanze al primo piano di un pub di Nanyuki, una giovane prostituta fu violentata a morte per essere ritrovata qualche giorno dopo nella fossa settica del locale.
Certo, le atrocità dell’era coloniale, peraltro già stigmatizzate sia dal governo britannico, sia dallo stesso Carlo e già frutto di risarcimenti per i campi di concentramento degli anni Cinquanta e le violenze di genere, sono un altro paio d’oltremaniche e la fedeltà di Nairobi e dintorni all’ex madre padrona è sempre viva, anche se ha connotazioni legate più che altro ad interessi economici e commerciali, oltre che alla passione dei keniani per la Premier League, il campionato di calcio inglese.

Siamo convinti che alla fine, nel classico gioco di Halloween, il “dolcetto” leggero di un gentleman tra il disincantato e il distratto come Carlo prevarrà su qualsiasi tentativo di “scherzetto” del circo che gli ruoterà attorno in questi giorni di festa, comprese le zucche vuote degli odiatori social, ma i dilemmi restano.
E che Ruto, che si chiama come lo storico capo Nandi decapitato ma che ha anche lo stesso nome di battesimo di Shakespeare, perderà giustamente l’occasione di presentarsi sulla pista del Jomo Kenyatta International Airport in abbigliamento mostruoso e con in mano un teschio, recitando i versi che seguono il più famoso incipit esistenziale di sempre e sembrano stati scritti apposta.
“…chi sopporterebbe le frustate e gli scherni del tempo, il torto dell'oppressore, l'ingiuria dell'uomo superbo, gli spasimi dell'amore disprezzato, il ritardo della legge?”.

TAGS: sovranore carlonandisamoeischeletrocoloniacrimininanyuki

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