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03-10-2019 di redazione
Johanna, parrucchiera di un sobborgo di Nairobi, madre di una splendida paffuta creatura di nemmeno sei mesi d’età, una mattina prende le sue poche cose dall’appartamento che divide con il marito Nathaniel detto Nat, impiegato in una multinazionale che si occupa di energie alternative, e sparisce. Nessuna crisi depressiva post-parto o da allattamento, il motivo: Nat le ha chiesto di fare il test del DNA al piccolo, per essere sicuro che sia suo figlio.
E’ solo l’ultima delle storie che stanno riempiendo la rete in Kenya.
Da quando l’esame legato alla genetica è diventato accessibile anche alla fascia media, nel Paese, sono moltissime le richieste da parte dei presunti padri, ma anche quelle delle madri che restano incinta. Tanto che la Chiesa è in allarme per le relative richieste di divorzio e il Governo è già stato allertato per il proliferare di fatti di cronaca legati alle scoperte di figli illegittimi.
Alcuni dei casi di femminicidi nell’ultimo anno sarebbero legati a richieste o addirittura ricatti da parte di donne nei confronti di chi le aveva messe incinta, o di ventilate denunce, anche in ambito familiare, di violenze e stupri sfociati in gravidanze non volute. Così come il giro di vite voluto dai Servizi Sociali sulle cliniche che praticano clandestinamente l’aborto, responsabili di molti decessi di madri e figli, ha portato a galla anche questo tra i vari motivi per cui le donne decidono di affidarsi a strutture del genere. Lo scorso luglio l’Alta Corte del Kenya ha ribadito con una sentenza che la pratica dell’aborto nel Paese rimane illegale e punibile con il carcere, a meno che la salute della madre non sia in pericolo.
Il Kenya, nei suoi strati popolari, è sempre stato un Paese abbastanza puritano all’apparenza, quasi volesse ripulirsi delle tradizioni di poligamia tribali. Ma se un tempo il fatalismo portava ad accettare di buon grado l’ultimo nato come “figlio del villaggio” o della comunità, oggi specie nelle città, con nuclei famigliari ben definiti e stili di vita di coppia all’occidentale, può bastare un semplice test per mandare all’aria tutto. Perché un conto è sentirsi dire il proverbiale “cielo, mio marito!”, un altro è dover chiedere alla propria consorte “di chi cavolo è tuo figlio?”.
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