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Da sentenza di Malindi speranza per i diritti delle donne

L'Alta Corte si è schierata per la prima volta a favore dell'aborto

20-04-2022 di redazione

Una sentenza dell’Alta Corte di Malindi potrebbe cambiare il destino delle giovani donne keniane vittime di stupri o di relazioni premature che decidono di abortire.
Come è risaputo, in Kenya la costituzione non solo vieta l’aborto ma lo considera un reato penale per cui sia la madre che il medico o la persona che se ne occupa in prima persona vengono arrestati e rischiano una lunga detenzione.
Proprio mentre c’è a livello un rigurgito internazionale per il diritto alla vita, senza (come ormai abitudine di questi anni privi di senno e memoria) fare distinguo tra donne o ragazzine che sono state vittime di abusi o di una sottocultura di cui non sono certo loro le colpevoli, l'Alta Corte del Kenya ha recentemente affermato che "l'accesso delle donne ai servizi di aborto sicuro è un diritto umano" e ha diretto il parlamento a promulgare leggi a questo proposito.

Il giudice dell'Alta Corte di Malindi, Reuben Nyakundi, ha emesso la sentenza alla fine del mese scorso in un caso che ha coinvolto una ragazza di 16 anni che aveva abortito, e l'operatore sanitario che l'aveva curata. I due, arrestati nel novembre del 2020 e accusati di aver premeditato l’aborto, avevano presentato una petizione alla corte per far cadere le loro accuse.

La sentenza arriva nel mezzo di un'intensa contestazione sulla salute sessuale e riproduttiva (SRH) in Kenya, attualmente concentrata sulla politica di salute riproduttiva 2022-2032 del ministero della salute che non prevede alcuna disposizione per l'aborto. Non solo, nelle ultime settimane si assiste, e si discute anche in Kenya, alla vicenda degli stupri perpetrati dai militari russi in Ucraina e di come alcuni Paesi in cui l’aborto non è ancora legale, non permetteranno a vittime profughe anche non più giovani, di abortire.

Nei giorni scorsi, tra l’altro, il Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione (UNFPA) rilasciasse il suo rapporto 2022 sullo stato della popolazione mondiale, che ha indicato che quasi la metà delle gravidanze globali sono indesiderate e che il fallimento nell'affrontare questo è una "emergenza di salute pubblica".
La Costituzione del Kenya del 2010 sancisce che l’aborto è vietato “a meno che, secondo l'opinione di un professionista sanitario qualificato, ci sia la necessità di un trattamento di emergenza o la vita o la salute della madre sia in pericolo, o se consentito da qualsiasi altra legge scritta".

La legge sui reati sessuali, se conclamati, permetterebbe anche alle donne e alle ragazze rimaste incinte a seguito di uno stupro di abortire. Tuttavia, un obsoleto codice penale del 1963 mette fuori legge tutte le forme di aborto in contraddizione con la costituzione.

Negli ultimi anni, i conservatori si sono mobilitati contro qualsiasi legalizzazione dell'aborto per qualsiasi motivo in Kenya, e la questione sta diventando sempre più un punto di raccolta populista in vista delle elezioni nazionali di agosto.

È diventato ancora più difficile quindi per le donne e le ragazze interrompere le gravidanze, anche entro gli stretti confini consentiti.

Nel caso di Malindi, una minorenne di 16 anni ed il pediatra che l’aveva in cura, sono stati arrestati.
Secondo il medico, la ragazza si era presentata con un aborto spontaneo in corso e che lui aveva praticato solo un'evacuazione manuale a vuoto.
La polizia aveva prelevato la ragazzina dall’ospedale in cui era ricoverata, confiscato la sua cartella clinica e costretta a fare una visita medica. Per poi rinchiuderla in un carcere minorile per oltre un mese prima che i genitori riuscissero a pagare la cauzione. Le autorità keniote hanno anche notificato alla sua scuola il procedimento penale contro di lei, con l’intenzione di toglierla ai genitori ed affidarla ad un istituto per minori in difficoltà. Nel frattempo anche il medico era stato arrestato, insieme a due assistenti della struttura sanitaria.

Nel frattempo, Mohammed è stato imprigionato per una settimana e anche due addetti alle pulizie della struttura sanitaria sono stati arrestati.

Le associazioni per i diritti umani hanno quindi portato avanti una petizione, scontrandosi per più di un anno con quelli per il diritto alla vita.

Ora il giudice dell’Alta Corte di Malindi ha sancito che costringere qualcuno a portare a termine una gravidanza non desiderata, o costringerlo a cercare un aborto non sicuro, è una violazione dei suoi diritti umani, compresi i diritti alla privacy e all'autonomia corporea.

"L'inaccessibilità di cure abortive di qualità rischia di violare una serie di diritti umani di donne e ragazze, tra cui lo stesso diritto alla vita – recita la sentenza - il diritto al più alto standard raggiungibile di salute fisica e mentale; il diritto di beneficiare del progresso scientifico e della sua realizzazione; il diritto di decidere liberamente e responsabilmente sul numero, la spaziatura e i tempi dei figli; e il diritto di essere liberi da torture, trattamenti e punizioni crudeli, inumani e degradanti".
La partita è solo iniziata, per giunta in un periodo delicato in cui la politica è molto poco presente, ma potrebbe cavalcare le ragioni degli elettori. Saranno più quelli legati ai diritti delle donne o chi è fermo sulle posizioni di un paese che formalmente ancora non riconosce nemmeno i diritti delle comunità LGTBQ+?

TAGS: aborto kenyaragazze kenyadiritti umaniminorenni kenya

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