Racconti

VITA IN KENYA

Nella galleria del telefono, la foto di una brioche a Nairobi

Tre anni dopo, testimoniare la demolizione di una Comunità

15-06-2024 di Michele Senici

Era fine Settembre 2021, ero ancora a Nairobi.
Vivevo al quinto piano d’una palazzina su una strada sterrata parallela alla Thika Road, ignota ai più ma non ai Nairobians, soprattutto ai Nairobians delle Eastlands.
Su quella strada si affacciavano e si affacciano insolenti alcuni dei club più irriverenti di Nairobi: musica a tutto volume, dall’happy hour con patatine all’aglio fino alla colazione con Nyama Choma.Aperti senza regole e senza limiti durante tutto il lockdown, chiusi talvolta per delle investigazioni lampo su qualche droga sciolta in un bicchiere di troppo.
Vivevo al quinto piano, l’ultimo, d’una palazzina popolare e il portoncino del mio bilocale, ricavato nel sottotetto, era nascosta dai panni sempre stesi degli inquilini dei piani di sotto.
Era fine Settembre 2021, ero ancora a Nairobi.
Talvolta, per tornare in una società che più mi suonasse famigliare, prenotavo un Uber che mi portasse a Ovest. In quegli anni avrei risparmiato dieci cene per concedermi venti colazioni all’Italiana.
Così, in quella fine di settembre, col mio Uber, ho impostato come destinazione le Torri d’Avorio sulla Sesta strada di Parklands, per concedermi un Cappuccino, senza dubbio singolo perché doppio è giusto per i non-italiani e un cornetto farcito di golosissima crema al pistacchio.


È Giugno 2024, e per un ritaglio di tempo sono stato a Nairobi.
Incontro un’amica a Gigiri - stavolta nell’altro mio bar italiano preferito - e finita la focaccia farcita monto su una moto elettrica che mi riporti a Westlands.
La moto silenziosissima corre veloce e mi lascia il tempo per guardare.
Si lancia su una strada limpidissima, liscia come la pelle d’un neonato e intravedo le Torri d’Avorio spuntare dopo la valle, sulla sinistra. Guardo in basso: cemento, asfalto, righe bianche lucide e dritte come serpenti al sole. Il mio cuore si ferma.
Sotto quel cemento c’era una Città. E io ci sono stato quando i bulldozer l’hanno tirata giù, e me n’ero andato richamato dal pistacchio e dal caffé.


Era fine Settembre 2021, ero ancora a Nairobi.
Il mio Uber aveva corso su una Thika Superhighway inaspettatamente vuota ed era entrato su Muthaiga Road. Arrivato sulla Sesta di Parklands aveva superato le Torri d’Avorio per raggiungere la fine della strada, dove iniziava il sentiero sterrato che tagliava la baraccopoli di Deep Sea - Mare Profondo. Era necessario arrivare a quel punto per fare inversione e lasciarmi proprio sull’uscio delle Torri. Quel giorno a quell’inversione, non trovai la strada che restringendosi entrava tra le baracche ma ruspe, nubi di polvere bianca e rossa, urla, polizia. La Sesta Strada di Parklands già esisteva sia nel suo inizio su Limuru Road che nella sua fine a General Mathenge ma era interrotta nel mezzo da uno Slum.
Ricordo di averla percorsa guidando la macchina aziendale molte volte.
Google Maps mica lo sapeva che una strada a quattro corsie potesse diventare un sentiero coperto da tetti di lamiera nel giro di una manciata di metri.
L’avevo sempre trovata unica, incredibile. Una sberla per ricordarti che Nairobi è tutto e il contrario di tutto anche nel perimetro dello stesso isolato. Ma quel giorno, alla fine di Settembre, la Sesta di Parklands voleva ricongiungersi a sé stessa, e un’intera città o almeno una buona parte di essa era destinata a sopperire. Perché sì, uno slum è una città fatta di relazioni, incastri, Luoghi (mai non-luoghi), cliniche, tetti e speranze.
Ricordo il mio autista sogghignare e dire finalmente, ricordo una donna scappare dalla polvere con un secchio di latta e un bambino tra le braccia, ricordo uomini con le mani sulla testa osservare la loro Città venire giù. Mi ricordo guardare fuori dal finestrino, incredulo, l’autista sterzare velocemente per levarsi da quel pantano. Mi rivedo guardare dal lunotto posteriore tutta quella distruzione mentre la macchina torna sull’asfalto dopo l’inversione.


È Giugno 2024, e per un ritaglio di tempo sono stato a Nairobi.
Apro il telefono, cerco su Google: demolizione Deep Sea Slum Nairobi. Trovo articoli, riscopro le date di quell’evento. Apro l’App Foto e cerco gli scatti di quei giorni. Una bellissima e farcitissima brioches che trasuda di crema verdastra riempie lo schermo. Questo e la memoria è ciò che mi resta di quel mattino. Dove saranno quegli abitanti oggi? Forse nelle baracche erette sotto al ciglio della nuova strada.
Cosa avrei potuto fare io quel giorno? Senza dubbio nulla se non osservare una città cadere sotto alla voracità dei bulldozer.
Era necessaria la Sesta Strada di Parklands?
Temo di sì, ma spero di non diventare mai egoista quanto lei.
Tenere insieme sviluppo e umanità è ancora oggi d’una tragica e devastante complessità.


Michele Senici, 1993.
Educatore, insegnante, coordinatore di progetto.
Ho aperto Casa Hera a Diani perché non sapevo dove continuare la mia vita.
L’ho capito ora? Certamente no, ma va bene così, almeno osservo, penso, scrivo.

TAGS: Deep SeaNairobicomunitàslum

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