SATIRA
10-09-2013 di Camillo Vittici
Primo giorno
Finalmente io e il mio amico Serafino siamo arrivati a Malindi.
Che viaggio ragazzi! Neanche Cristoforo Colombo deve averne fatto uno simile con le sue tre Caramelle. Bergamo-Malpensata, poi sull’eroplano fino a Bombasa e poi due ore di tassi fino qua. Qui hanno la strana abitudine di viaggiare sulla sinistra, ma proprio tutti.
Non e’ che uno va a sinistra e uno a destra, no, si sono tutti messi d’accordo e viaggiano tutti dalla stessa parte.
Cambiano corsia solo quando ritornano. Mai visto gente cosi’ ordinata.
Se ti guardi intorno e’ tutto una meraviglia.
Si vede che i primi esploratori hanno piantato un sacco di piante di ogni tipo.
Ci sono tanti baobabbi pieni di buganditi di cento colori, rosse, meno rosse e quelle rosa; quelle bianche devono aver perso il colore per via che il sole qui fa strani scherzi.
Ci sono anche i fichi d’India con le loro brave spine che qualcuno deve aver portato dall’Italia del sud, isole comprese.
Appena entrati in una casa che sembrava una capanna per via del tetto di paglia proprio come i casolari ove noi mettiamo le pecore, ma molto piu’ grandi e coglienti siamo stati ricevuti nella ricevitoria del Villaggio da due neri con un vassoio con su due bicchieri che nella lingua locale si chiama coctel di benvenuto.
Ci aspettavamo che, dato il colore della loro pelle fortemente abbronzata, ci venissero offerti due Negroni. Invece no, una specie di beverone fra il rosso e il verde pisello con dentro, secondo gli usi e costumi locali, due zanzare di cui una morta e l’altra in procinto di annegare, pero’ piu’ piccole delle nostre che da noi sono un incrocio fra una zanzara e una tigre che non ho mai capito come avranno fatto ad incrociarsi.
Una mosca stava tentando di salire verso la cima del bicchiere, ma non riusciva proprio a farcela, tant’e’ vero che io, uomo gentile e di cuore, con un dito l’ho aiutata ad uscire da quella situazione.
Magari era una mosca tse tse che dicono che quando ti becca puoi fare a meno di prendere il Valium perche’ dormi per una settimana, incubi compresi.
Serafino comunque mi aveva avvisato di non bere perché aveva sentito alla televisione nel programma di Voilagger che era facile prendersi una caghetta africana e non sapeva se da queste parti si poteva trovare la carta igienica se era negli usi e costumi locali.
Magari una foglia di palma poteva servire allo scopo, ma sul foglietto delle distruzioni dell’Agenzia non c’era scritto un fico secco.
Almeno dircelo che qualche rotolo ce lo saremmo portati da casa!
Poi ci hanno portato nella nostra camera che qui chiamano Bungalo.
Forse lo chiamano cosi’ perche’ qui, con tutte le belle tope che abbiamo visto passando in citta’, e’ possibile fare dei fantastici Bunga Bunga, ma ci informeremo presto perche’ magari ci potrebbe interessare.
I nostri letti sono due specie di catafalchi tutti decorati a mano da valenti falegnami locali. La prima cosa che Serafino ha fatto e’ stata quella di controllare se c’era veramente la carta igienica. Con grande meraviglia ha scoperto che c’era e che probabilmente si usa anche da queste parti magari per lo stesso scopo. Aveva un colore fra lo scuro e il marroncino chiaro. Solo dopo vari e profondi ragionamenti abbiamo dedotto che aveva quel colore per tenere meglio lo sporco.
Intorno ai letti ci sono delle tendine bianche tipo retini che si usano per pescare le Arborelle al lago di Iseo, ma, sempre dopo profonde discussioni, abbiamo pensato che servissero, una volta tirate, ad avere entrambidue la propria privasi e sentire di meno l’altro che russa.
Di li’ a un po’ qualcuno si e’ divertiro a suonare un tamburo; forse sarebbe stato piu’ gradevole che suonassero una tromba o un violino, ma poi abbiamo capito che era il segnale del pranzo. Quanta buona roba!
Altro che alla trattoria della Giuditta dove ti danno tre fette di salame per antipasto, due gnocchi per il primo e la cotoletta alla milanese per il secondo il tutto per 8 euro, pranzo di lavoro, anche se noi siamo pensionati e il lavoro l’abbiamo finito, ma la Giuditta fa finta di niente. Qui c’e’ il pesce di mare, gli sgamberi, gli spiedini di maiale che qui chiamano facocero, spaghetti scoglionati e frutta esotica del posto.
Pampaia, avvocato, banane importate dall’Africa nera e manchi.
Ci sono anche i frutti della Passione che te li danno anche se non siamo nella Settimana Santa, perche’ da queste parti festeggiano il Rataplam.
Quelli pero’ sono difficili da mangiare perche’, se li vuoi assaggiare devi prima togliere tutti i semini ad uno ad uno e ci impiega da 30 a 40 munuti.
Alla sera una bella danza di uomini neri, alti, magri come acciughe marinate e vestiti tutti allo stesso modo con indosso una veste a quadrettoni rossi e neri proprio come le tovaglie dell’osteria “Al vino buono” del mio paese.
Cosi, soddisfatti o rimborsati, abbiamo passato la nostra prima giornata a cavallo dell’equatore, magari appena un po’ sotto.
Di questo discuteremo domani.
Secondo giorno (che poi sarebbe il terzo perche’ il primo l’abbiamo passato sull’eroplano)
Oggi decidiamo di andare al mare e farci una nuotata in questo Oceano Indigeno che e’ chiamato cosi’ perche, se prendi una barca e fai qualche remata di buona lena, in mezz’ora arrivi a Bombei o da quelle parti. Dipende dalle intercorrenti del mare se vanno di qua o se vanno di la’, ma basta andare dritti e le freghiamo.
Equipaggiamento di Serafino: Tuta da subdolo presa in prestito da suo figlio, che fa il pompiere a Bergamo, senza dirgli che l’avrebbe presa se no gli avrebbe detto col cacchio che te la do’. Di quattro misure meno della sua e talmente aderente che per farlo entrare abbiamo dovuto usare una scatola intera di borotalcolo. Quelle minuscole parti intime di cui e’ dotato risaltano come fossero due noci di cocco che qui sono belle grosse, non come quelle delle nostre parti con le quali si fa il nocino con la grappa. Pinne ai piedi di 50 centimetri (non i piedi, ma le pinne), con maschera e boccaglio incorporato gia’ infilato in bocca e tenuto stretto per via del fatto che potrebbe sfilargli la dentiera comperata da poco per la modica cifra di 3.500 euro senza fattura se no con l’IVA avrebbe dovuto fare un mutuo e rimanere in braghe di tela per il fatto che la sua pensione e’ una miseria.
Io, che non mi sono portato tutta quella roba da pompiere bergamasco perche’ mio figlio fa l’idraulico e non potevo mettermi, per andare al mare, la tuta da idraulico con dentro tutti i ferri del mestiere che mi avrebbero fatto andare a fondo, decido che sott’acqua non ci voglio andare perche’ ho una paura boia. Mi sono infilato una camera d’aria di un mezzo di trasporto del luogo che qui chiamano Tuc Tuc e che mi fa venire in mente una marca di biscotti di quelli che se li intingi nel latte dopo un secondo e 10 decimi si sciolgono e li devi andare a pescare in fondo alla tazza col cucchiaino o col dito se il cucchiaino non ce l’hai a portata di mano. Quindi ciambella da salvataggio che mi hanno affittato per la modica cifra di 500 scellini africani.
Ci siamo avviati verso la spiaggia e ci siamo diretti dritti dritti verso il mare tenendoci per mano per rimanere in equilibrio e mantenere la giusta direzione. Una cosa che ho immediatamente notato e’ che da queste parti le spiagge non sono come le nostre piene di ombrelloni, di sdraio, di estracomunitari che vendono i bomboloni come in Romagna dove da piccolo ero andato in Colonia e coi bagnini appollaiati in alto a guardare il culo delle turiste; no, qui le spiagge sono piu’ lunghe che larghe. Dopo circa 40 minuti che stavamo camminando nell’acqua bassa, che nel linguaggio del luogo chiamano marea, ci siamo trovati di fronte ad una lunga fila di sassi che ho saputo che, sempre nella lingua del luogo, chiamano barriera corollaria. Chissa’ che fatica hanno fatto a portarli fino li’.
Lungo il percorso, in una specie di pozza di ben mezzo metro di acqua, Serafino si e’ catapultato in un tuffo scarpiato da vero campione olimpionico. Spanciata terribile il cui rumore e conseguente urlo di dolore deve esere stato udito fino al Villaggio e hanno fatto scappare quei quattro corvi che ci stavano osservando con sguardo curioso. Le pinne che navigavano per conto loro e che io sono corso a recuperare prima che qualche pesce affamato se le portasse via e la dentiera e’ schizzata verso alcune pietre sommerse che c’e’ voluto del bello e del buono per recuperarle nonostante avessimo lasciato gli occhiali in camera perche’ io sono presbitero e Serafino e’ lesbico perche’ gli mancano piu’ o meno otto dottrine.
Il secondo urlo deve essere arrivato fino a Bombei; era il mio. Nel cercare la dentiera di Serafino non mi vado a sedere proprio su un riccio? Un dolore cosi’ forte non deve averlo provato neanche la mia mamma quando mi ha messo al mondo dato che pesavo quasi cinque chili e quattro etti. Che dolore di bestia! Fortuna, se proprio di fortuna devo parlare, e’ che si e’ infilato nella chiappa destra appena li’ in parte. Altrimenti, se fosse stato appena pochi centimetri piu’ a sinistra, lo so io dove sarebbe andato ad infilarsi! Sarebbe stata la supposta piu’ dolorosa della mia vita!
Terzo giorno
Dove vuoi andare se non al mare che e’ qui a pochi passi? Infatti oggi la spiaggia lunga di acqua bassa e’ sparita, qualcuno deve aver aperto la diga del fiume che passa a qualche chilometro da qui perche’ l‘acqua si e’ decisamente alzata di profondita’. Misteri africani! Il tutto, al contrario di ieri,la spiaggia si e’ ridotta ad un paio di metri.
Per passeggiare e per prendere il solleone, che il mio dottore mi ha detto che fa un gran bene con i suoi raggi ulltraviolenti per l’arteriosclerosi delle ossa e che bisogna prendere l’odio del mare per un rinforzo corporale, ci facevamo strada con grandi gomitate fra i turisti e fra i neri del luogo che volevano venderci di tutto e di piu’.
Ed e’ a questo punto che ho fatto un’enorme scoperta. Riuscivo benissimo a comprendere l’Africano, la lingua locale. Insomma e’ come l’avessi sempre parlata; proprio come gli Apostoli dopo che e’ arrivato lo Spirito Santo ad insegnargli tutte le lingue del mondo. Proprio non c’era la minima differenza dall’italiano che noi parliamo in Italia! Amico si pronunciava amico, ciao come stai... ciao come stai, comperare... comperare, giraffa di legno... giraffa di legno... Insomma capivo tutto, ma proprio tutto. E non mi vengano piu’ a dire che le lingue estere sono difficili! Si’, forse c’e’ quache parola diversa dalla nostra tipo “alcuna patata” e “polli polli” che non vuol dire galline, ma piano piano.
Per il resto e’ tutto filato liscio. Serafino, per i suoi nipoti, ha comperato tre giraffe dal collo lungo, due elefanti (non veri, ma di legno perche’ quelli veri sono difficili da caricare sull’eroplano) con la loro bella proboscide che guardava per aria e le zanne da attaccare al momento una di qua e una di la’, un masaio di mezzo metro perche’, come ci eravamo informati, sono alti alti per vedere i leoni sulla spiaggia.
Io, per la mia Rosa, mi sono preso due foular colorati con i colori del luogo. La mia Rosa l‘ho lasciata a casa perche’ l’Africa e’ roba da uomini, da uomini duri. E poi lo dice anche il Vangelo o qualche altro libro su cui ho letto che la donna deve essere sottomessa al marito perche’ rappresenta l’angelo del focolaio. Poco piu’ avanti ho comperato un cartello di legno scolpito con su scritto “Dio ti vede” da mettere sulla porta della camera di mia cugina Immacolata che, a tempo perso, fa la puttana e una collanina con un bel dente di leone che devono avrglielo strappato i Masai nella foresta amazzonica della savana che e’ qui a due passi tant’e’ vero che di notte, quando la musica del Villaggio smette di rompere i maroni, riusciamo a sentire fin qua l’urlo del giaguaro innamorato. Comunque solo all’ultimo giorno ha capito di avere sbagliato, non era proprio il giaguaro, ma Serafino che russava come un trattore con le bronzine sballate.
Quarto giorno
I bicci boia della spiaggia ci hanno proposto di fare non uno, ma due safari. Uno nella pianura ciscostante con gli animali liberi di andare a pascolare dove volevano e l’altro nel mare un po’ piu’ lontano da qui che pero’ bisognava andarci in barca. Ci siamo tutti riuniti, insomma, ci siamo riuniti Serafino e me, e, dopo lunghe e medidate meditazioni, abbiamo preso finalmente una decisione. Non saremmo andati ne’ all’uno ne’ all’altro.
Primo, e probabilmente piu’ importante: oltre al costo del pacco del Villaggio in tasca non avevamo che pochi euri e qui mi dicono che e’ difficile che qualcuno ti offra la gita aggratis per la tua bella faccia. Oddio, la mia e’ abbastanza carina tant’e’ vero che la mia mamma mi diceva sempre che io ero un bellissimo brutto, ma purtroppo quella di Serafino sembra un incrocio fra un mulo e un buldog.
Secondo: Serafino fin da piccolo soffre di allergia ai peli del cane, del gatto e degli animali feroci. Magari se si avvicina troppo ad un leone e’ capace di scatenare una selva di sternuti tali da farlo arrabbiare e incazzarsi di brutto. Penso che i leoni, quando sono incazzati di brutto, sono anche capaci di farti brutti scherzi. Qunndi abbiamo dedotto che si sarebbe potuto avvicinare solo a coccodrilli, tartarughe e serpenti perche’ quelli non sono pelosi.
Dopo la solita riunione abbiamo deciso che per vedere gli orsi bruni, i canguri, gli stambecchi e i pinguini della savana saremmo andati al parco delle Cornelle vicino a Bergamo e, in tenuta da esploratori, ci saremmo fatti delle fotografie a vicenza da far vedere com’e’ l’Africa agli amici del Bar della Giuditta. Se avessimo portato le nostre mogli sarebbe stato diverso; le avremmo messe in posa in parte ai leoni senza pericolo per noi due.
Per il safari del mare, al contrario, abbiamo deciso la stessa cosa.
Primo: Il mio amico Serafino soffre il mal di mare fin da quando stava nell’acqua uterogena della sua mamma prima di venire al mondo. Appena dopo nato, invece di piangere, alla solita sculacciata si e’ messo a vomitare ed e’ stato in quel preciso momento che ha deciso che nella sua vita non avrebbe mai fatto il marinario. Io invece, al contrario di lui, quando vado in barca ho lo stomaco sottosopra e, a volte, soprasotto. Sara’ per il fatto che per il mal di stomaco l’anno scorso sono andato dal dottore idraulico per farmi infilare un tubo giu’ per il gargarozzo, sara’ perche’ mi hanno trovato una gastrite gastrica e un’ulcera sanguinaria, sara’ perche’ per queste malattie una volta per settimana mi viene una tremenda disenterite, fatto sta che anch’io ho rinunciato.
Pero’ mi hanno detto che era un peccato non riuscire a vedere quel posto li’ che gli aborigeni del luogo chiamano il Palco Marino per il fatto che nell’acqua, anzi, per essere piu’ precisi, sotto acqua si possono vedere pesciolini colorati, i pesci palloni, le stelle martine, le tartarughe grosse come elmetti dei tedeschi della seconda guerra mondiale e balenottere azzurre o grige a seconda se c’e’ il sole o se piove.
Per non perdere questo spettacolo e averlo aggratis ci hanno indicato un bar dove, in una vasca, c’erano le ragoste vive e vegete che andavano su e giu’ e ci siamo divertiti da matti come se fosse un documentario di Quarc.
Quinto giorno
Ci siamo alzati tardi poiche’, quando siamo stati sulla spiaggia a comperare le opere d’arte dai bicci boia, ci siamo scottati cosi’ tanto che sembravamo due polli allo spiedo tanto che la nostra pelle era abbrustolita. Siamo andati a San Pietro, non alla Basilica di Roma che avevo visto quando ci avevo fatto il militare, ma in un ospedale Italiano, dove almeno ci capivano, non lontano da qui. Ci ha accolto un’infermiera e, con le sue manone bicolori, cioe’ sopra nere e sotto rosa, ci ha massaggiato con una pomata che se fosse stata di peperoncino ci avrebbe fatto meno male. Poi ci ha detto che eravamo disinteressati, no, mi sembra di ricordare... disidratati e ci ha ficcato una filobus nel braccio con un intruglio color giallo canarino.
Siccome la mutua da queste parti non passa un cazzo, abbiamo dovuto firmare un pacco di cambiali per pagare e per poter uscire. E io, il pirla, che non ho voluto fare l’assicurazione prima di partire! Me l’aveva detto la Rosa; guarda che in Africa puoi prendere i virus africani che non si vedono perche’ sono neri e sono grossi come meloni. La peste suina, gli orecchioni, la malaria zanzarosa, l’AIDIS, la lebbra, le scottature solari quando c’e’ il sole e l’acne giovanile. Come attraversi l’equinozio o l’equatore sei nella cacca!
Per questo abbiamo dovuto fermarci nel Villaggio per la convalescenza di almeno un giorno. Siccome quelle maledette bolle non si decidevano ad andarsene qualcuno ci ha consigliato di spalmarci tutto il corpo, ma proprio tutto, con la papaia. Ognuno dei due ha aiutato l’altro a mettere quella sbrodola gialla, meno le parti intime alle quali ognuno ha pensato per se’ perche’ non era il caso. Ma poi ci siamo accorti che non occorreva perche’e’ uno di quei posti, come si suol dire, dove non batte il sole.
Per una buona mezz’ora pero’ hanno prodotto uno strano effetto... Al di la’ del fatto che sembravamo due carte moschicide perche’ nel giro di pochi secondi eravamo coperti da mosche, moscerini, coleotteri e zanzare (io anche da una farfalla rossa e nera che e’ andata ad appiccicarsi proprio in mezzo al naso), di colpo non riuscivamo piu’ a capire cosa la gente ci stava dicendo. Tutti ci vevano scambiato per due cinesi! Solo la sera, dopo un tuffo in piscina, il prurito ha incominciato a diminuire lasciando pero’ il posto a dolori violenti ossei e una selva di graffi e gibolloni rossi e neri causati dal fatto che, prima del tuffo, non ci siamo accorti che stavano cambiando l’acqua e la piscina era pressoche’ vuota.
Insomma, per non tenerla lunga e essere circonciso, altro accesso in ospedale e altra pila di cambiali da dove siamo usciti (non dalle cambiali, ma dall’ospedale) tutti fasciati da capo a piedi di bende bianche.
La sera ci hanno gentilmente chiesto, per lo spettacolo per i turisti che era imperniato sull’antico Egitto, di fare la parte delle mummie di Ramsete Secondo e della Regina Nefertiti. Ci e’ venuta proprio bene e naturale! Quanti applausi!
Sesto (e ultimo) giorno
Finalmente ci siamo decisi a visitare il Centro di Malindi, questa città lussuriosa poiché col lusso non scherzano visti i negozi pieni di cose colorate e locali. La sera abbiamo preso il nostro bravo tuc tuc e via per questa nuova meravigliosa scoperta! Non si era ricordato il mio amico Serafino che era stato da poco operato dall’ernia del discolo, ma a ricordarglielo immediatamente e’ stati quel disgraziato e improvviso dosso di traverso la strada che ci ha fatto fare un salto tipo otto volante con conseguente atterraggio rovinoso! In compenso io ho sbattuto la zucca contro quello stramaledetto ferro sulla parete superiore del trabiccolo. Cominciamo bene- ci siamo detti. Non per niente qui li chiamano i bump nel senso che il colpo che ci prendiamo e il relativo rumore di questo ferrovecchio sembra esattamente quello di un cannone. E lasciamo perdere le buche, certo, meglio davvero perderle che trovarle perché, se ti capita di caderci dentro, non ti rimane che chiamare gli speleologici della Val Seriana con tanto di elmetti, corde e piccozze.
Una bella cosa, invece, le righe gialle in mezzo alla strada; col nebbione che ci deve essere in inverno potranno evitare gli eventuali incidenti di questo traffico infernale che non si ferma neanche ai semafori che non ci sono.
Per prima cosa ci siamo fermati in un supermercato per curiosare piu’ che per vedere.
Si chiama Nakumat che penso abbia preso il nome dalle iniziali di Nakuna Matata che, nel linguaggio aborigeno del luogo, penso voglia dire nessun problema.
Infatti siamo entrati senza nessun problema eccezione fatta che ci hanno passato con degli aggeggi come in eroporto. Ci hanno chiesto se avevamo delle bombe, cartucce di tritolo o altro materiale esplosivo nelle tasche, ci hanno fatto la radiologia davanti e dietro, la TAC, l’esame sanguinario, la gastroscopia e lo sfondo oculare. A qualcuno hanno anche tolto le tonsille per paura che contenessero qualcosa di pericoloso.
Molto probabilmente ci hano confuso per terroristi arabi perché fra noi due stavamo parlando il bergamasco che é peggio dell’arabo.
Poi ci hanno lasciato entrare. C’e’ di tutto! Dagli spazzolini da denti alle scatole di fagioli, dalla maionese ai frigoriferi.
Poi siamo usciti senza altri controlli pero’ con tutti quegli esami fatti agratris.
Un bel bianchino al bar non ce lo leva nessuno tanto per cominciare.
E qui ce ne sono parecchi... C’e’ il Brodo Star, no, cosa c’e’ scritto? Ah, Star dasc, il Fottipiù, il Milionario di Brigliatore, il Carlo Blisse, l’Uite Mona, il Pota Pota e il Frumento. Quest’ultimo dovrebbe fare al caso nostro perche’ ci piace il nome e ricorda un prodotto agrario delle nostre parti che matura a fine giugno.
Saliamo la scala, ci danno un biglietto, entriamo e ci accomodiamo ad un tavolino.
“Vedi anche tu Serafino quello che vedo io?”.
“Saro’ magari anche mezzo orbo, ma quelle cose li’ le vedo bene”.
Due stangone fatte come Dio comanda con le tette davanti e un bel culo dietro si avvicinano con un elegante e grazioso andar di corpo, si siedono e ci chiedono di bere con noi. E noi, per educazione, perche’ chiedere e’ lecito e rispondere e’ cortesia,
“Cosa possiamo offrire? Calicino di rosso, Coca Cola, aranciatina, caffenino, lecca lecca?”. “Champagne, grazie”.
Non avevo capito bene se si riferivano ai funghi Champignon o a qualche prodotto della campagna locale. Comunque sono state gentili perche’ hanno pensato loro a ordinare.
Cosi’ ho scoperto poco dopo che si trattava di un vinello con le bollicine.
Peccato che un vino così buono non sapesse di niente.
“Serafino, vuoi vedere che qui da cosa nasce cosa? Ti sei ricordato di comperare nella nostra Farmacia quelle pastigliette che ti fanno circolare il sangue che é una meraviglia e che danno una buona spinta ai mormoni delle parti intime corporali?”.
“Ma certo che mi sono ricordato! Ma per chi mi hai preso, per lo Smemorato di Collegio?” “Dai allora, non perdiamo tempo; prima le prendiamo e prima...”.
“Eccole, sono qua”. “Scusa Serafino, ma cosa cazzo hai comperato?”.
“Ho comperato le pastiglie che mi hai detto tu. Al farmacista ho chiesto di darmi le partiglie che fano circolare il sangue e lui...”.
“Ma non vedi cosa c’e’ scritto? Aspirina!”.
“Pota, sono quelle che la mia Teresa prende per la circonvallazione del sangue; lo sai bene che ha le vene vanitose!”.
Sempre per essere circonciso nella mia spiegazione la serata é finita verso le due di notte appena terminato di lavare bicchieri, piatti, vassoi e porcellane varie nella cucina dietro il bar, lavare i pavimenti col Mocio Vileda con tanto di Spich e Span e rimettere al loro posto tutti i tavolini per pagare quello Champignon di bollicine e che noi pensavamo di cavarcela con duecento scellini, IVA compresa.
Non siamo andati neanche a letto perché dopo due ore il trasfer, come lo chiamano qui, ci aspettava per condurci a Bombasa.
Bella vacanza! E per fortuna e’ durata solo una settimana!
Forse ci costava di meno ad andare a Gatteo Mare!
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