AMBIENTE
10-02-2024 di Freddie del Curatolo
Chissà se la storia del pianeta terra, dopo milioni di anni di ere geologiche, glaciazioni, caataclismi, evoluzioni e rivoluzioni, non preveda che gli animali riprendano il controllo del loro habitat naturale a vantaggio degli esseri umani che lo hanno ridotto, a livello ambientale, ai minimi termini.
Di certo, almeno a giudicare dal Kenya, qualche segnale c’è e arriva dai conflitti tra uomo e animali dati dall’aumento degli insediamenti umani dove ancora le specie di erbivori e predatori vivono in libertà e dell’urbanizzazione.
Ormai quotidianamente la cronaca nazionale presenta una storia, spesso tragica, di incontri ravvicinati tra animali che vivono a ridosso di centri abitati, villaggi e comunità e spesso si sentono minacciati, oppure di esemplari a cui sono stati negati gli approvvigionamenti, perché sono stati tagliati alberi ed è venuto meno l’ecosistema che li nutriva.
Sono tanti gli episodi menzionati da testate giornalistiche e media, o riportati da organizzazioni non governative e dal Kenya Wildife Service.
Dall’inizio dell’anno, nell’hinterland della capitale Nairobi, si sono verificati numerosi attacchi da parte di iene affamate, che hanno avuto come obbiettivo soprattutto giovani studenti che si recavano a scuola a piedi, la mattina presto. Il fenomeno è così diffuso nelle aree rurali delle città che si espandono verso la savana, che lo stesso KWS ha deciso di attuare una campagna di informazione, con volantini e cartellonistica.
Questa settimana nella periferia di Isiolo, la cittadina di riferimento del nord del Kenya, sulla strada per la regione del Samburu, una coppia, marito e moglie, è stata attaccata da un leone mentre lavorava nei campi ed è riuscita a salvarsi, nonostante gravi ferite riportate da entrambi, perché il contadino aveva un machete con sé ed è riuscito alla fine a far recedere l’animale dallo sbranare la moglie.
L’area urbana di Isiolo nei mesi precedenti è stata anche più volte presa da assalto dagli elefanti, che tempo fa penetrarono in un’istituto scolastico e ne distrussero il grande orto che contribuiva all’alimentazione quotidiana degli studenti.
Due giorni fa, infine, i residenti della contea di Kisumu, capoluogo del lago Vittoria e terza città del Kenya, hanno denunciato al KWS l’ansia e la paura per l’aumento esponenziale del numero di ippopotami che con il favore delle tenebre e al mattino presto attraversano i loro villaggi.
Oltre a temere per la loro sorte, gli abitanti delle zone a ridosso del lago, vedono anche i loro campi coltivabili distrutti. Secondo gli esperti, l’invasione degli ippopotami è dovuta all’allargamento dei bacino idrico del lago Vittoria.
Sempre complicata invece la situazione nei pressi del parco nazionale di Amboseli, dove le comunità maasai vedono le loro mandrie, che spesso rappresentano l’unica fonte di guadagno, minacciate dai leoni che si muovono alla ricerca di cibo facile, avendo sempre meno piante e cespugli in savana dove nascondersi e tendere agguati agli erbivori più veloci e per loro gustosi. Così si accontentano della carne bovina, soprattutto perché mucche e vitelli non riescono a scappare.
La popolazione maasai che vive nelle zone dei safari, per legge, dovrebbe essere risarcita per la perdita di capi di bestiame a causa dei felini, ma spesso il processo è così lungo che, come è successo la scorsa estate, i pastori preferiscono farsi giustizia da soli e, come accadeva decenni fa, quando però i leoni erano dieci volte più numerosi di oggi, uccidono chi gli ha divorato le loro mucche.
Grosse soluzioni non ci sono, se non creare, come avviene in altri stati africani, recinzioni chilometriche in ogni parco e riserva, anche diminuendo gli spazi, ma facendo in modo che gli animali abbiano tutto quello di cui necessitano senza che sentano il bisogno di avventurarsi fuori.
In attesa che l’uomo non decida definitivamente, con il suo meraviglioso stile di vita e la sua idea di conservazione del pianeta, di estinguersi. Purtroppo per leoni, ippopotami, elefanti e iene, questo non avverrà prima di qualche secolo.
E se, come cantavano i Nomadi, “noi non ci saremo”, l’Africa in qualche modo sarà ancora qui e sorriderà beffarda.
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