EDITORIALE
28-05-2020 di Freddie del Curatolo
I due aspetti di un Paese che avevamo lasciato con le tante sue contraddizioni e i molti aspetti positivi che cercavano di trainarsi dietro le storiche problematiche legate alla miseria, alle malattie endemiche, ai retaggi tribali e ad una crescita non sempre sostenibile e sostenuta, tornano adesso alla ribalta con l’emergenza Covid-19.
Il Kenya ha voglia di ripartire al più presto e il Presidente Kenyatta non ne ha fatto mistero qualche giorno fa, annunciando che presto coprifuoco e lockdown delle contee chiuse dall’esterno finirà.
Allo stesso tempo però il leader che da ormai due anni è appoggiato quasi in toto dall’ex avversario politico di sempre (come peraltro fu per i rispettivi genitori) Raila Odinga, ha chiarito che per la prima volta la festa nazionale dell’Indipendenza, il Madaraka Day, avrà una celebrazione virtuale e non la classica cerimonia pubblica in uno stadio con folta partecipazione, bande e sfilata dei vari corpi delle forze dell’ordine incluse.
Ieri poi, di fronte all’ottimismo che trapela tra i gestori delle attività che stanno riaprendo, nella capitale Nairobi così come nelle principali cittadine della Nazione, e nelle linee aeree che stanno sondando il mercato keniano per riprendere prima possibile le rotte, si registra l’esplosione di casi di positività negli slum, i ghetti poveri della metropoli, in particolar modo Mathare e Kibera.
I primi tamponi mirati hanno rivelato che la presenza del virus, ancorché senza casi molto gravi, è radicata e certamente l’indisciplina della gente che conduce già una dura lotta per la sopravvivenza non favorisce la frenata del contagio. Come e più che nei Paesi occidentali, comunque a morire sono persone già in terapia e soprattutto diabetici e malati di cancro.
L’età media bassa del Paese aiuta a tenere le percentuali di gente ospedalizzata e in condizioni di salute serie sotto livelli di preoccupazione e nel frattempo permette al Governo di organizzarsi sempre meglio per far fronte ad un possibile picco, che l’Organizzazione Mondiale della Sanità prevede per l’Africa Subsahariana tra fine giugno e metà luglio.
Il settore turistico vorrebbe riaprire in tempo per offrire ai tanti appassionati di mare e savana un’opportunità in più di libertà, in un luogo in cui la vacanza già di per sé è un’invito alle distanze sociali, con le sue tante spiagge e parchi immensi dove c’è letteralmente posto per tutti.
E poi c'è il grande problema dell'istruzione, con le scuole a cui viene dato un colpo di grazia e le famiglie che ne soffrono, Famiglie che iniziano a beneficiare di aiuti, anche se lo sventolato "assegno" settimanale via Mpesa ancora non è partito.
Anche questo territorio, da marzo ad oggi, ha già capito che con il “Corona” si vive alla giornata e che non si può ancora abbassare la guardia, anche se a fronte del contagio così facile, la sua pericolosità da queste parti è tutta da dimostrare.
Molto dipenderà dalla capacità di agire bene nei contesti di aggregazione, come appunto gli slum o i quartieri islamici, come le comunità di villaggi da sempre abituati a ritualità e abitudini di massa.
Nei luoghi in cui l’ospitalità la fa da padrona, e da molti anni abituati ormai ad interagire con gli stranieri, tutto può essere più gestibile e ripartire è una parola salvifica, quasi come immunità.
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