L'EDITORIALE DI FREDDIE
05-07-2023 di Freddie del Curatolo
Basta seguire la strada e prima o poi si fa il giro del mondo, diceva Jack Kerouac.
Ma la gente comune del Kenya il mondo non lo girerà mai.
E’ un popolo che più che stare “sulla strada”, vive ai suoi bordi.
Si muove quasi sempre per necessità materiali, tangibili.
Per trovare qualcosa, non per cercarsi dentro.
Per sopravvivere, non per far vivere la propria anima.
Gente che non vede l’ora di fermarsi, di trovare una situazione facile che permetta di non dover più fare il giro del loro piccolo mondo.
Così la situazione migliore, per chi attende la vita ideale, che è una vita appena al di sopra della decenza, è stare sul ciglio della strada e se la strada è vivere, ai margini dell’esistenza.
L’ennesimo terribile incidente automobilistico accaduto qualche giorno fa, a Londiani nel nord ovest del paese, ha ribadito questa abitudine che ormai possiamo chiamare cultura “by the road”.
All'interno del mezzo a cui si sono rotti i freni, c’era una sola persona, l’autista che si è salvato.
Sul matatu, il minivan tamponato, c’erano due o tre passeggeri, più quelli che attendevano di salire.
Le altre 50 vittime, più una sessantina di feriti, facevano parte di quel popolo che è il più numeroso, il più visibile e il più frenetico.
Che è capace allo stesso tempo di camminare o di restare immobile per ore, che commercia, tratta, litiga, baratta, chiacchiera, si saluta, urla o dorme, carica e scarica.
Le madri allattano i figli, gli anziani cercano un appoggio o l’ombra (sempre più rara) di un albero, i bambini sgattaiolano e le capre sbambinano.
Tutto sul ciglio della strada.
Donne corpulente dietro chioschi di frutta e verdura si imbellettano con la polvere d’argilla sollevata dagli autoarticolati, velenosi gas di scarico glassano dolcissime ciambelle fritte, i taxisti su due ruote dei boda-boda fanno sfoggio di contorsionismo e riescono a riposare, inscenare spettacoli per attirare clienti, infervorarsi, sgranocchiare e bere qualcosa, stiracchiarsi e guardare video sul telefonino. Quasi tutto contemporaneamente, prima di ospitare a bordo del loro ronzino dai 2 alle 5 passeggeri (uno solo, raramente).
La strada d’Africa non è solo, per tornare ai beatnik americani “la strada del santo, la strada del pazzo, la strada dell’arcobaleno, la strada dell’imbecille”, è la strada di tutti.
Tolte le grandi città o le cittadine che sognano di diventare tali, tutti gli agglomerati urbani del Kenya si affacciano su una sola grande arteria, dove accade di tutto e dove i mezzi a motore sfrecciano, o tentano di farlo frenati da dossi, carretti, mandrie, biciclette, sacchi di patate e carbone, rami caduti, buche ed altri imprevisti, compresi lavori mai iniziati o mai finiti.
Tutto accade sotto gli occhi di tutti, tutto è commedia e in pochi secondi può trasformarsi in tragedia. La strada è anarchica e democratica, è libera e autoritaria, perché se è vero che tutti possono passare da lì, è anche vero che tutti ci devono passare per forza.
Per questo la strada è vita e per la gente ai margini a volte può significare morte.
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