EDITORIALE
04-10-2024 di Freddie del Curatolo
E’ un momento di pace apparente ma non facile politicamente, quello che sta attraversando il Kenya.
Se a livello economico, il governo del presidente William Ruto sta cercando di mettere toppe alle falle che la mancata approvazione della legge finanziaria 2024-2025 ha causato (circa 3 e mezzo miliardi di euro di vuoto di bilancio, di cui solo 1,5 coperti da prestiti) ed è alle prese con un debito pubblico esponenziale (equamente diviso tra interno ed estero), che ha da tempo superato i 10 miliardi e si aggira tra il 60 e il 70 per cento del PIL. Le proteste della Generazione Z, il rimpasto di governo ed in generale una nuova presa di coscienza dell’opinione pubblica sulla cattiva gestione e sulle malefatte di alcuni dipendenti dello Stato, hanno segnato un momento importante nel recente percorso del Paese.
Politiche estere ed economiche, aiuti internazionali, soprusi della polizia, rapporti con l’opposizione, lotte intestine in parlamento, giustizia e petizioni. E’ tanta la “nyama choma” (carne alla brace, piatto nazionale keniano) sul piatto della Nazione. Quasi tutta indigesta per Ruto e i suoi più stretti alleati.
Facciamo un riassunto delle (tante) puntate precedenti, fino ad oggi.
PROTESTE DEI GIOVANI E GIUSTIZIA
Dopo tre mesi di manifestazioni di piazza, concluse prima di Ferragosto, Amnesty International ed altre organizzazioni per i diritti umani hanno denunciato 61 vittime per mano della polizia o di agenti infiltrati nei cortei pacifici, con oltre 300 feriti e più di cento sequestri di persona, alcuni comprensivi di torture e maltrattamenti prolungati, altri in arresti per futili motivi e taluni ancora irrisolti.
Dopo settimane di silenzio, il ministro degli Interni Kithure Kindiki ha ammesso 42 dei 61 morti ma ha anche affermato che non è certo che siano tutte vittime della polizia, promettendo indagini che per la verità avrebbero dovuto già dare qualche segno di attività.
Ma la ricerca della verità unita agli iter investigativi e processuali non è uno dei fiori all’occhiello del Paese, se è vero che ad esempio le indagini per il cosiddetto massacro di Shakahola della setta del digiuno del predicatore Paul Mackenzie nell’entroterra di Malindi, sono durate 14 mesi e che il processo, aperto ufficialmente nel giugno scorso, procede con una lentezza che sta lasciando sul campo gli stessi complici del sedicente pastore, che stanno morendo in prigione uno ad uno. Per non parlare del caso dei corpi di almeno 11 donne fatte a pezzi in una discarica a Mukuru, sobborgo di Nairobi: se anche in questo caso tra i principali indiziati, per l’ordine pubblico, c’erano le forze dell’ordine, qualche giorno dopo è stato pescato un serial killer reo confesso, che oltre all’omicidio della moglie due anni prima, si è autoaccusato anche degli altri femminicidi (una quarantina, secondo lui), salvo poi evadere misteriosamente dalla detenzione dopo una settimana e sparire nel nulla, così come nulla si sa del prosieguo delle investigazioni e delle ricerche di altri corpi e vittime, che potrebbero essere molte di più.
Intanto le proteste della “Gen Z” sono tornate nel loro nido prediletto, i social network, salvo le coraggiose iniziative di alcuni attivisti che vengono a ripetizione arrestati, minacciati o sono vittime di sequestri lampo.
L’ultimo è toccato al giovane avvocato Morara Kebaso, diventato famoso su Tik Tok per l’imitazione del presidente Ruto. Kebaso ha ingaggiato un tour del Kenya per verificare di persona l’andamento di progetti infrastrutturali del governo che sono stati finanziati e, per un motivo o per l’altro, non procedono. La sua popolarità è cresciuta esponenzialmente e ha creato innumerevoli tentativi di imitazione, fino a quando Kebaso è stato arrestato con metodi tutt’altro che da paese democratico e poi rilasciato su cauzione, per una semplice denuncia per diffamazione.
SITUAZIONE FINANZIARIA E AIUTI INTERNAZIONALI
Ruto difficilmente in questo periodo commenta le questioni di politica interna. E’ molto impegnato nella ricerca dei fondi per sopperire alla mancata applicazione di tasse e accise che avrebbero fatto recuperare allo Stato il denaro necessario per essere gestito nel corrente anno fiscale.
Dopo il diniego del Fondo Monetario Internazionale, Ruto si è recato in Cina ma ha ottenuto solo partnership per progetti infrastrutturali. La moneta operativa potrebbe arrivare dagli Emirati Arabi Uniti, che chiedono però interessi da vera e propria banca, 8,2%.
Intanto nel breve, la fiducia di chi dovrebbe prestare denaro, che si misura in maniera direttamente proporzionale al suo indice di crescita, è un po' scemata, dato il calo dell'uno percento (4,6% contro 5.6%) nel secondo trimestre del 2024, rispetto all'anno precedente, come ha dichiarato in settimana l'ufficio nazionale delle statistiche. Dall'altra parte, anche l'indice di inflazione a settembre è sceso di un punto (3,5%) rispetto ad agosto.
Numeri, numeri. Conteranno davvero qualcosa, specialmente in Africa?
In tale contesto, si inserisce l’accordo che il governo avrebbe stipulato e che è in fase di definizione tra lo Stato e l’azienda indiana Adani Group per la cessione dell’aeroporto internazionale di Nairobi per i prossimi 30 anni. Una mossa che farebbe entrare subito 2 miliardi di dollari nelle casse statali e che permetterebbe ad Adani di ristrutturare lo scalo, costruirci intorno a suo piacimento, gestire tasse aeroportuali e destino dei personale. L’accordo è stato contestato dai sindacati, che hanno scioperato per due giorni mettendo in ginocchio settore trasporti e turismo, lo scorso agosto, ed è oggetto di petizioni in parlamento. Il project financing e la cessione di proprietà statali, a partire dal porto di Mombasa ad aziende di gas e zucchero, è una delle altre scialuppe di salvataggio identificate dal governo, che rischia di affogare nel mar del default.
Ma l’Alta Corte per adesso sta bocciando, una ad una, le varie proposte di aste o cessioni in gestione.
VICEPRESIDENTE, PARLAMENTO E OPPOSIZIONE
Dopo le proteste di piazza, ha destato scalpore l’accordo raggiunto tra Ruto e lo storico leader dell’opposizione Raila Odinga. Se è vero che due legislature e mezzo fa erano nella stessa coalizione, anzi Ruto era il delfino numero uno di Odinga, torna alla memoria la battaglia elettorale del 2022 tra i due candidati, con colpi bassi, accuse di brogli e ripetizione del voto negata. Così come la discesa in piazza nella primavera del 2023, con altro caos e morti nelle periferie di Nairobi e Kisumu in particolare.
Dopo il rimpasto di governo per placare le manifestazioni, Ruto ha deciso di imbarcare tra i suoi ministri, quattro parlamentari della coalizione di Odinga e allo stesso tempo ha avallato la candidatura del grande vecchio (“Baba” il suo soprannome) come presidente dell’Unione Africana.
In questo modo, oltre ad un governo di larghe intese, ha ottenuto una maggioranza in parlamento pari a più dei due terzi necessari per attuare riforme anche costituzionali.
La prima prova di forza, probabilmente richiesta da Odinga e i suoi, è la rimozione del vicepresidente kikuyu Rigathi Gachagua, attraverso un processo parlamentare per impeachment. Sarebbe la prima volta nella storia della Repubblica del Kenya che un’altissima carica dello Stato viene rimossa per impeachment.
Dietro a questa mossa che sembrerebbe poter andare in porto (i primi colloqui hanno visto appunto più dei due terzi dei parlamentari concordi), c’è la lotta di potere della “lobby del Monte Kenya”, l’enorme bacino di voti, di potere e di finanziamenti per le campagne elettorali, grazie al quale proprio Gachagua aveva contribuito a portare Ruto alla presidenza. Ora, con la mano tesa di Odinga, sembrerebbe non essercene più bisogno e molti altri kikuyu più moderati e meno tribalisti sono prontissimi a prendere il posto dell’attuale vicepresidente. Senza contare che anche l’opposizione è stata spaccata e i più vicini alleati di Odinga, Kalonzo Musyoka e Martha Karua (esponente del Monte Kenya, grande sconfitta alle elezioni proprio per aver appoggiato Odinga alle elezioni nella sua regione) devono ricostruire la coalizione, mentre la Gen Z si appresta a svelare le sue carte politiche, tra attivisti che annunceranno movimenti, partiti e formazioni, ed imprenditori, come il veterano Jimi Wangigi, osteggiatissimo dal governo Ruto, che decideranno chi appoggiare.
Sono molti quindi gli scenari tuttora aperti, con alcune impellenze che riguardano, come sempre, gli ultimi che vengono considerati durante queste tempeste imperfette: i cittadini.
Lo scellino per adesso tiene, la politica estera resta un caposaldo nelle capacità di conduzione del Paese da parte di William Ruto, ma a livello nazionale tutto scricchiola, con la commissione anti corruzione che ogni giorno pesca un governatore, un parlamentare o un consigliere di contea con le mani nel sacco o il sacco già pieno (e mezzo svuotato) da un po’. Intanto i kenioti della strada, fatalisti e rassegnati equilibristi senza rete del grande circo Africa, vanno avanti a fatica tra improbabili riforme sanitarie, disservizi elettrici e scuola allo sbando. Il seguito nelle prossime puntate, che a vedere come va in altre parti di mondo, è già buono che ce ne siano di nuove in programma.
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