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Padre Alleluja, i 52 anni di Kenya del prete italiano

Torna alle sue Dolomiti Adolf Poll, dal 1968 tra Rift Valley e Diocesi di Malindi

31-05-2021 di Freddie del Curatolo

Cinquantadue anni di Kenya, di cui venti passati a dire messa e aiutare i fedeli di Witu e Kipini, villaggi tra Malindi e Lamu dove è altissima la densità di mussulmani.
Lì lo chiamano “Father Alleluja”, perché è la parola che ha ripetuto più spesso e l’unica che tutti i vari popoli con cui ha interagito potessero capire al volo.
In realtà il suo nome è Adolf Poll ed è un prete italiano nativo di Bolzano.
Padre Adolf tornerà in Italia nei prossimi giorni, alla vigilia del suo ottantunesimo compleanno.
Domenica scorsa ha celebrato l’ultima messa a Witu e aver salutato la Diocesi Cattolica di Malindi dove ha prestato la sua opera missionaria fin dal 2001.
Al momento della partenza, aveva solo due valige: qualche vestito e tanti regali della sua gente, manufatti d’ogni tipo, dalle statuette d’ebano ad ogni sorta di oggetto a sfondo religioso.
“Non ho bisogno d’altro – ha dichiarato ad un giornalista del quotidiano Standard che lo intervistava - Quel che porto con me in abbondanza sono i bei ricordi che ho collezionato qui”.
In realtà porterà con sè l’affetto di tantissime persone e il suo nomignolo, che gli affibbiarono a Kisii, dato che quasi nessuno parlava inglese o swahili, ma solo il dialetto locale Ekegusii, così a chiunque gli rivolgesse la parola, lui rispondeva con un sorridente “Alleluja”. Da allora la sua fama lo ha preceduto in ogni villaggio o chiesa frequentata, dalle lande masai al Monte Kenya, da Malindi al delta del Tana River.
“Non è facile imparare lingue e dialetti nuovi, specie in luoghi dove non hai una bibbia scritta in idiomi che non siano swahili o inglese” ha raccontato, rivivendo il suo mezzo secolo di Kenya.
Padre Alleluja lasciò le Dolomiti nel dicembre del 1968.
Aveva poche alternative alla vita da pastore che la sua famiglia gli avrebbe prospettato. Così decise di diventare “pastore di anime”, prese il sacerdozio nel 1967 e l’anno dopo era già pronto ad accettare l’Africa.
Ci arrivò in nave, a Mombasa e fu destinato dopo pochi mesi alla diocesi di Kisii, nella Rift Valley.   
Uomo di montagna, che ha amato molto il Monte Kenya perché gli ricordava le sue alpi, dopo 32 anni nel cuore del Kenya, ha saputo reinventarsi in un’area non facile, quella costiera della Contea di Lamu, tra attacchi di fondamentalisti, banditismo e inondazioni.
La sua verve da italiano teutonico non ha conosciuto tentennamenti, ed è stato il missionario di tutti.
In vent’anni grazie ai suoi sforzi, più di 300 studenti hanno beneficiato di sponsorizzazioni per andare a scuola e persino per essere ammessi all'università. Nella sede della parrocchia di Witu, Padre Adolf ha creato un centro di recupero per donne abusate che attualmente conta 50 ragazze.
Il prete italiano sarà ricordato per i suoi incessanti sforzi per assicurare alle comunità di Witu, Kipini e  Mpeketoni l'accesso all'acqua potabile. Ha seguito personalmente i lavori di 95 pozzi per uso domestico in villaggi di quella zona.
“La maggior parte delle persone che ha aiutato non erano nemmeno cattoliche – ha spiegato alla stampa il suo viceparroco, Padee Alex Kimbi - Witu e Kipini sono zone abitate prevalentemente dai nostri fratelli musulmani. Padre Adolf  era disponibile con tutti, non aveva mai paura e si avventurava per aiutare chi era in difficoltà”.
Non a caso, nei primi anni Settanta, ha rischiato più volte di morire. Sia durante un’imboscata in cui l’auto su cui viaggiava era stata crivellata di colpi di mitra (operato all’intestino, si salvò) sia durante un grave incidente stradale sulle strade costiere che lo ha reso leggermente claudicante.
L’ultima volta, qualche anno fa, è stato durante la preghiera serale, quando dei malviventi armati di pistole presero d’assalto la parrocchia chiedendo soldi.
“In quell’occasione mi sono spaventato – ha raccontato Padre Alleluja - Ho dato loro le offerte che era state raccolte quel giorno e se ne sono andati. Non mi hanno fatto alcun male”.
Alla Diocesi di Malindi lo ricordano perché arrivava sgommando alla guida della sua sgangherata Toyota. Aveva sempre fretta di tornare dalla sua gente, possibilmente con cibo ed altri aiuti.
Mancherà a tanti, così come a lui mancherà la costa del Kenya, pur riabbracciando la sua amata montagna, in un altro spazio e in un altro tempo.
“La morte non mi spaventa – ha ammesso – ho più paura di perdere i ricordi. Non posso immaginare di non rammentare più i giorni che ho passato in montagna. Sia le Alpi che il Monte Kenya. Stare in piedi sulle montagne e guardare ciò che Dio ha creato, ancora oggi mi dà i brividi”.

TAGS: prete kenyaitaliani kenyadiocesi malindimissionario kenya

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