“La mia vita in Kenya è stata uno scellino speso proprio bene” mi disse qualche anno fa, sorseggiando una tazza di carcadè e raccontandomi per filo e per segno la sua avventura keniota.
Andrea Botta, all’anagrafe Maggiorino ma per tutti, da quasi 70 anni “Andrew”, se n’è andato nei giorni scorsi alla veneranda età di 95 anni ed è da considerare uno dei grandi italiani vissuti in questo paese, per le cose che ha fatto, la filosofia di vita ed integrazione e le qualità imprenditoriali.
Non male, per un giovane del cuneese che era arrivato alle pendici del monte Kenya come missionario della Consolata.
Un prete-ragioniere, specializzato in amministrazione, meticoloso e con una visione degna dei conterranei della sua epoca, in quella vallata povera di migranti e grandi faticatori. Sua, nel 1955, l’organizzazione della prima scuola superiore della regione creata dai missionari torinesi.


L’Africa per Andrew si è rivelata più forte di una fede che peraltro non ha mai rinnegato, perché pur di restare tra quella che chiamava “la sua gente” a Meru, nel 1973 rifiutò il trasferimento a New York (“neanche mi avessero proposto il Congo…” mi disse con un sorriso da ragazzino impenitente) e decise di “spretarsi” per sposarsi con una ragazza locale e mettersi in proprio in una realtà contadina dalle grandi opportunità.
Ma non solo, ha continuato a lavorare di concerto con le realtà cattoliche del Paese e con le organizzazioni di cooperazione italiane ed internazionali, specializzandosi in impianti per l’irrigazione e seguendo i precetti di un altro grande genio intuitivo e ormai “italiano-kikuyu”, fratel Argese.
Dopo aver contribuito a portare l’acqua a migliaia di agricoltori di Meru, la grande intuizione di riunirli in cooperative e fondare “Meru Herbs”, la prima realtà di produzione di frutta biologica, marmellate, salse e soprattutto la prima ad importare in Kenya il red hibiscus, meglio conosciuto come carcadè, che poi avrebbe esportato in tutto il mondo. Grazie anche all’abilità della moglie Margaret, Botta ha reso “Meru Herbs” un marchio keniota famoso nel mondo, che ha ottenuto le certificazioni qualitative più alte perfino in Giappone (cosa di cui lui andava molto fiero).
Personalmente, mi mancheranno le sue telefonate per annunciarmi nuovi progetti, le carte topografiche e di rilievi di terreni srotolate, i racconti dettagliati di tutti i viaggi da Meru a Malindi lungo le strade meno frequentate, guadando fiumi ed attraversando parchi senza seguire le piste convenzionali, che ancora faceva alla soglia dei 90 anni.
Mi mancherà quella tazza di carcadè e quello “scellino speso bene”.