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VISTI DI SOGGIORNO

Visti per keniani in Italia, perchè non è così facile

Kenya tra i paesi con più rifiutati: i motivi

20-05-2025 di Freddie del Curatolo

La questione dei visti di soggiorno breve (turistico, di studio o altro) per i keniani in Europa e di conseguenza anche in Italia, intesi come “Visto Schengen”, interessa ogni anno centinaia di cittadini di questo Paese, ma anche di riflesso, molti italiani che li invitano, li attendono e spesso garantiscono per loro.
Entrambi, a secondo del coinvolgimento (emotivo, solidale, economico, interessato per mille motivi) si imbattono in diversi passaggi di una corsa ad ostacoli che non sempre li vede tagliare il traguardo.
Ostacoli che peraltro sono piazzati lungo il percorso in precedenza e che, con un semplice studio a priori sulla questione, dovrebbero essere ben visibili sia al richiedente che all’invitante.
Così come dovrebbero essere, data la casistica degli anni passati, chiari i tempi di eventuale rilascio.
Invece spesso i connazionali interessati alla vicenda, come il più classico dei “Checchi Zaloni”, cadono dalle nubi, pensano di ottenere tutto per grazia ricevuta o perché “stanno facendo una buona azione” e soprattutto in quattro e quattr’otto, che peraltro in Africa spesso fa 7.
Il risultato dell’insoddisfazione alla fine o nel mezzo dell’iter, e dell’eventuale rifiuto, è il celeberrimo sparare sullo sportello istituzionale, partendo dai piani bassi di chi è semplicemente preposto e applica le regole. Niente di nuovo, è il nostro sport nazionale insieme al calcio.


Giovi a tutti innanzitutto sapere che buona parte di tali regole non sono solo italiane ma, come accennavamo all’inizio, fanno parte degli accordi di Schengen, quindi dell’Unione Europea.
In secondo luogo, quando per l’Italia si parla del continente africano, entrano in ballo i cosiddetti “flussi migratori”. Perché è inutile lamentarsi della mancanza di un metro unico e di una giurisdizione solida, se poi quando sono in ballo interessi personali, si è i primi a chiedere delle eccezioni.
Altro sport nazionale, dopo il calcio, il tiro allo sportello e insieme al taglio della pizza.

Poi è importante sapere che invece la prima parte dell’iter che il cittadino keniano deve affrontare per sperare di ottenere un visto per l’Italia, viene gestito e facilitato da un’agenzia locale, keniana che fa da tramite con lo Stato italiano, qui rappresentato dall’Ambasciata di Nairobi.
L’agenzia in questione si chiama VFS Global, e ha in appalto la raccolta dei requisiti dei richiedenti visto. Non spetta a lei il compito di accettare o rifiutare un visto, ma può istradare il cittadino keniano (che deve recarsi di persona a presentare i documenti) e invia comunque il materiale fornito all’ufficio visti dell’ambasciata.
Le statistiche in nostro possesso ci dicono che la percentuale di chi si reca negli uffici di Mombasa o Nairobi dell’agenzia VFS Global, non ha la minima idea di quali siano i requisiti richiesti per chi dal Kenya voglia recarsi in Italia. Questo è sicuramente uno dei motivi per cui secondo i dati della Commissione Europea, il Kenya occupa una posizione piuttosto alta nella temuta classifica dei paesi africani con il più alto tasso di rifiuto dei visti europei.
Secondo un rapporto pubblicato da Bruxelles, infatti, un terzo dei richiedenti keniani (29,1%) si vede negare il visto di breve durata che consente di viaggiare in 27 paesi europei.
Non è quindi una questione solo di governo italiano. Riporre quindi accuratamente il fucile e continuare a tagliare la pizza.

Quali i motivi? L’Unione Europea, che si interessa d’altro e di sistemi un po’ più massimi, non lo spiega, ma dalle mail e richieste di spiegazioni e aiuto che riceviamo, ci sentiamo di dire che uno è certamente il fervore, l’aspettativa, se vogliamo anche la passione, con cui richiedente e ospitante affrontano la questione. Foga che spesso poi si trasforma in delusione e rabbia, alle prime difficoltà.
Ad esempio, in paesi africani dove la richiesta di visti avviene raramente in base a rapporti di amicizia o solidarietà, la percentuale dei rifiuti è molto più bassa. Ad esempio il Botswana si attesta al 16,3%, lo Zambia addirittura al 10,8%, ovvero con il rifiuto di un solo cittadino su 10, il Sudafrica addirittura al 5,7%. Infine Liberia e Sao Tomè si vedono rifiutare una richiesta di visto ogni 100 cittadini.
Detto questo, il Kenya non è la Nazione con più rifiuti, ma la terza. Davanti a lei troviamo il Senegal, e si può comprendere che le motivazioni possono essere altre, soprattutto da parte dell’Italia e di Paesi che sono più attenti (e soggetti) ai famosi “flussi migratori”. Così come per quanto concerne le Comore, prime in classifica, per le quali esistono anche implicazioni politiche.
Diversi fattori possono determinare il rifiuto del permesso di viaggio in un Paese europeo, ma uno dei motivi più comuni di rifiuto, per quanto riguarda i keniani, è la presentazione di domande incomplete o di documenti giustificativi insufficienti.

In particolare, come segnala un’analisi del sito Kenyans, molti richiedenti il visto non soddisfano i requisiti standard, come la prova di fondi sufficienti e di un alloggio confermato. Anche i forti legami con il paese di origine, come un’occupazione fissa e una proprietà immobiliare o regolare contratto d’affitto di un’abitazione, possono rivelarsi requisiti fondamentali, poiché la mancata dimostrazione di tali requisiti induce le ambasciate europee a sospettare che non vi sia alcuna intenzione di tornare dopo la visita.
Ed è inutile spiegare che, in un passato anche recente, in molte circostanze ciò è avvenuto.

Un altro fattore che incide in modo significativo sull'accettazione di un paese nei sistemi di viaggio europei è il rischio percepito. In ottica Schengen, i residenti in alcuni Paesi africani sono percepiti come potenziali rischi di immigrazione a causa di un modello di valutazione dei funzionari preposti al rilascio dei visti, che ha dimostrato che molte persone provenienti da un determinato paese non hanno chiari legami economici o sociali con il loro paese d'origine.

In terzo luogo, la ricerca di lavoro, subordinato o autonomo, e una narrativa a volte interessata da chi ha vantaggi a “vendere” la destinazione Europa, aumentano la richiesta. Di conseguenza, l'offerta di visti disponibili non soddisfa quasi mai la domanda e i tempi di attesa e di rilascio possono essere molto lunghi. Ma questo, si badi bene, non dipende dalla lentezza della burocrazia, come il tiratore allo sportello professionista sostiene.

La mancanza di accordi solidi per l'agevolazione dei visti tra il Kenya e alcuni Stati membri dell'UE è un altro fattore che incide sul posizionamento del Kenya nella classifica dei tassi di rifiuto. Paesi come il Sudafrica e le Mauritius (altro Stato al 5% di rifiuti) godono invece di relazioni bilaterali più solide e di quadri politici più favorevoli.
Da questo punto di vista, i recenti accordi bilaterali firmati dal presidente William Ruto e dalla presidente della Commissione Europea, Ursula Von Der Leyen, potrebbero migliorare le cose, specialmente per liberi professionisti, dipendenti di aziende e chi ha intenzione di recarsi in Italia con chiare intenzioni lavorative e possibilmente un curriculum professionale che lo dimostri.

Quelle appena citate sono le categorie di cittadini che possono avere la massima considerazione, oltre a chi ovviamente possiede beni, un conto in banca e garanzie di legami con il proprio Paese.
Ma una buona parte dei richiedenti sono persone che personalmente non possono offrire garanzie di alcun tipo, se non la propria fedina penale pulita, che di certo non è abbastanza.
Alcuni italiani pensano che siano sufficienti le garanzie offerte da loro che li invitano e li ospiteranno, ma non è così. Oltre alla fidejussione e ai documenti presentati dall’invitante, serve un minimo di solidità economica del richiedente. E non siamo sulla luna, pensando che alcuni uffici immigrazione del resto del mondo chiedono anche assicurazioni sanitarie e hanno parametri ancora più alti. Ed è anche normale che l’Europa sia arrivata a regole più restrittive, dato il numero esponenziale di stranieri irregolari o precari, la maggior parte dei quali non sono arrivati con i viaggi della speranza via mare, come ci ha scritto un lettore inviperito dopo il rifiuto del visto al rafiki (“a questo punto, allora, ben vengano i barconi”) ma proprio in aereo con visto di soggiorno breve.
Certo, ipoteticamente è bello pensare di poter ricevere e far vivere un’esperienza italiana all’amico/a keniano/a conosciuto a Watamu, o al giovane studente al quale si è deciso di pagare gli studi, o dare la possibilità a lavoratori domestici di inserirsi nel tessuto lavorativo italiano.
La distanza tra l’afflato e le regole, tra il sogno e la realtà, è abissale.
Esattamente come quella tra una vacanza e il lavoro o tra il soggiorno breve e l’insediamento in un paese europeo per un cittadino africano.

TAGS: vistikenianiimmigrazioneinvitiglobalambasciata

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