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26-07-2022 di Freddie del Curatolo
“Vorrei venire a vivere e lavorare in Kenya, magari anche alla pari, ad esempio nel volontariato, è possibile?”.
E’ una delle domande che i nostri lettori ci pongono e che sono tornate di moda, probabilmente spinte da questo periodo di incertezze prolungate e di consapevolezza che in Italia la vita è sempre più dura e irreale.
Ebbene, ci piacerebbe dare conforto e ottimismo a chi si approccia spesso in buona fede con questo sogno, avvalorato magari da frequentazioni pregresse di questo paese e dei suoi luoghi che ispirano libertà, relax, afflato di vivere in una dimensione più umana e magari fare anche del bene.
Dobbiamo però realisticamente mettere in guardia gli entusiasti che non hanno idea di come potersi approcciare ad una nuova vita, anche lavorativa, in questo paese e ci chiedono lumi.
C'è chi ha una piccola rendita, una pensione minima o qualcosa del genere e ammette che gli basterebbe anche avere vitto e alloggio nel paese africano, dove la vita gli sembra più leggera e a portata di sogni.
Purtroppo anche una situazione che potrebbe apparire comoda sia per chi cerca un'occupazione, sia per chi potrebbe essere interessato ad avere un aiuto "occidentale", non è così semplice.
Ricordiamo infatti che per lavorare in Kenya, a tutti i livelli, occorre un permesso di lavoro che è ben diverso dal normale permesso da turista (che il Kenya in questo periodo accetta come soggiorno vacanziero per 3 mesi estendibile di altri 3, ma l’Italia non approva, vietando i viaggi per turismo verso l’Africa). Il permesso di lavoro può essere di diversi generi: in primis quello da imprenditore, che prevede un investimento di almeno 80 mila euro e dà diritto ad ottenere un visto di soggiorno e di lavoro valido due anni e rinnovabile a condizione che la propria compagnia ottemperi economicamente e fiscalmente alle condizioni stabilite all’atto della formazione. Il permesso costa circa 2000 euro.
Poi c’è un permesso da dipendente, sempre più difficile da ottenere perché intanto costa 4000 euro, con validità biennale, e in secondo luogo deve essere una compagnia locale ad assumere la persona, che deve avere delle qualifiche importanti e che non possono essere assolte da un keniano. Quindi professionisti che possano provare la loro competenza e per questo verranno assunti.
Difficile quindi trovare un’azienda che si accolli l’onere di pagare un permesso di lavoro decisamente caro per assumere una professionalità che al limite può trovare, o crescere, in ambito keniano e con stipendi decisamente più bassi di quanto potrebbe richiedere un cittadino europeo.
Per quanto riguarda il settore del volontariato, qui il permesso (che deve essere richiesto da una onlus o NGO) costa molto meno, ma è difficile riuscire ad ottenerlo, se non in presenza di associazioni riconosciute in Kenya che lavorano già da tempo sul territorio. Ma in questo caso sono le stesse associazioni a richiedere figure professionarie esperte di cooperazione o volontariato.
Quindi per un “novellino” che sogna di trasferirsi in Kenya, la via più logica è aprire una propria attività, oppure presentarsi con esperienza e professionalità tale da poter avere possibilità di trovare lavoro ed essere assunto con regolare permesso. Per tutti gli altri, c’è anche la possibilità di avere un permesso di soggiorno da “pensionato” o per chi ha una rendita fissa in Italia. Tale permesso dura 3 anni e costa 3000 euro, ma bisogna dimostrare un introito annuale di circa 20 mila euro, tramite fidejussione bancaria o bonifici mensili su un conto in banca keniano. E soprattutto, è un permesso per risiedere in Kenya, non per lavorarci.
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