SCIENZA E SALUTE
05-06-2024 di redazione
Più che nel vaccino, che inevitabilmente incontra gli ostacoli delle lobby farmaceutiche e si è infangato nelle paludi della burocrazia e degli infiniti test in tutta l’Africa, il futuro per sconfiggere la malaria (e forse anche eliminare buona parte delle zanzare, che pur essendo creature del Signore, anche gli animalisti più convinti fanno fatica a sopportare) sembra passare dalla genetica.
I primi esperimenti, in questo senso, sono lusinghieri e stanno per approdare anche in Kenya, dopo aver avuto successo a Gibuti, dove anche per via del clima e della “fossa” in cui la città risiede, l’incidenza della malaria era altissima e dove, particolare da non sottovalutare, sono presenti centinaia di militari stranieri di tutto il mondo delle forze di sicurezza per il Corno d’Africa. Recentemente decine di migliaia di zanzare geneticamente modificate in laboratorio sono state rilasciate a Gibuti nel tentativo di fermare la diffusione di una specie invasiva che trasmette la malaria.
Le zanzare maschio “Anopheles stephensi”, che oltretutto non pungono l’uomo, sono state sviluppate dall’azienda biotecnologica britannica Oxitec.
La loro particolarità è che sono dotate di un gene che uccide la prole femminile prima che raggiunga la maturità. Come si sa, infatti, solo le zanzare anofele femmine pungono e trasmettono la malaria e altre malattie virali. È la prima volta che queste zanzare vengono messe nell’ambiente in Africa orientale.
Una tecnologia simile è stata utilizzata con successo in Brasile, nelle Isole Cayman, a Panama e in India, secondo i Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC). Secondo le stime della CDC, sono ormai più di un miliardo le zanzare di questo tipo rilasciate in tutto il mondo dal 2019.
“Abbiamo creato zanzare buone che non pungono e non trasmettono malattie. E quando rilasciamo queste zanzare amichevoli, esse cercano e si accoppiano con le femmine di tipo selvatico", ha dichiarato alla BBC Grey Frandsen, responsabile di Oxitec. La specie stephensis, arrivata anni fa dall’Asia e più resistente di quella africana, è ora presente in altri sei Paesi africani: Etiopia, Somalia, Kenya, Sudan, Nigeria e Ghana.
A Gibuti si vedono già i primi risultati, e i paesi che hanno ancora a che fare con la malaria, come il Kenya, stanno iniziando seriamente a pensarci.
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