L'angolo di Freddie

SATIRA

Cosa hanno nelle valigie i turisti che arrivano in Kenya?

Motivi, espedienti e paradossi delle importazioni "fai da te"

08-11-2022 di Freddie del Curatolo

La valigia sul letto è sì quella di un lungo viaggio, come cantava Julio Iglesias, ma per chi la fa è un viaggio conosciuto, periodico, come minimo annuale.
Sarebbe quindi una valigia quasi vuota, non solo perché alcuni indumenti e oggetti sono già nel luogo di destinazione, ma perché anche i vestiti da portare sono perlopiù roba leggera, da posti caldi ed informali.
Luoghi in cui per il giorno possono bastare due cambi di pantaloncini e maglietta (o veste di cotone per le donne) e infradito per il giorno e un paio di “lunghi” e scarpette estive per la sera.

Luoghi in cui non ci sarebbe (condizionale d’obbligo) bisogno di ostentare, un luogo dove, come recita l’articolo 3 della costituzione del Mal d’Africa, “non si ha bisogno di nulla che non sia dentro di noi”.
Eppure misteriosamente quella valigia non solo è strapiena, ma spesso non è nemmeno una sola.
Se la compagnia aerea che vi farà atterrare a Mombasa prevede 23+23 chili di bagaglio, state pur certi che ne avrete 24+23.5. E se c’è spazio per un terzo collo, non mancheranno regali e “pietre di scambio” con amici, partner esotici o beach boys.

La domanda nasce come la mchicha nei campi: perché quelle valigie sono così piene e pesanti?
Fondamentalmente perché noi italiani non riusciamo a rinunciare ai piaceri del cibo, del “nostro” cibo e perché chi frequenta la costa del Kenya per qualche mese all’anno, quelli più freddi, non vuole rinunciare alle proprie buone abitudini ma tantomeno spendere più del dovuto per acquistare beni definiti “di prima necessità” pagando l’inevitabile dazio di trovare prodotti importati a caro prezzo che costano come minimo il doppio che in Italia.
Quindi in una valigia da 23 kg troviamo: 12 confezioni di caffè Lavazza qualità oro (il Kenya è terzo esportatore di caffè del mondo, il suo caffè per la moka è buonissimo ma ahimé costa un po’ più caro, anche perché è prodotto spesso in maniera ancora artigianale), quindici pacchi di spaghetti De Cecco da mezzo chilo (risparmio totale 1.80 a pacco, quindi la bellezza di 27 euro in totale che possono essere spesi durante un beach party!), due kg di grana padano (indispensabile, se si portano gli spaghetti…e per fortuna che i pomodori in Kenya sono buoni…certo però che i San Marzano in barattolo…). Proseguiamo con una latta d’olio d’oliva da 5 litri e alcuni altri generi di conforto come un paio di bottiglie di vino, olive taggiasche, biscotti del Mulino Bianco (fondamentali! Volete mettere con i troppo genuini biscotti della ditta keniana Fayaz, attiva dal 1890 a Mombasa e che si trovano anche a Malindi e Watamu a poco meno di un euro la confezione?) ed altro. Ma sappiamo che nessuno come gli italiani fa fatica a rinunciare alla "dieta mediterranea". Tra i residenti di lungo corso di Malindi c'è la quasi certezza che se dal 1985 i ristoranti non avessero iniziato a dotarsi di forno a legna per la pizza, la destinazione non avrebbe avuto questo successo con i nostri connazionali.
Quindi non vogliamo perdonare chi non riesce a vivere 3 mesi all'estero senza mangiare una pastasciutta la giorno, una margherita alla settimana, un risotto ogni quindici giorni?
Altra domanda che nasce come gli ananas a Magarini: ma è possibile portare tutto questo ben di un Dio italico in un paese africano come il Kenya, per un turista che entra per l’appunto con visto turistico?
La risposta è immediata: PROPRIO NO!

Se non si è residenti e si vuole importare insieme alla propria persona anche generi alimentari, ma anche non alimentari, come ad esempio un trapano a percussione (giuro, abbiamo dei casi…), una confezione da 12 rotoli di “Scottex Casa” (Sic!) o una serie di creme solari, antizanzare e cosmetici da aprire un negozietto, bisogna pagarne le tasse d’importazione. Esattamente come fa chi ha una licenza e una compagnia per fare il mestiere di importatore. A qualcuno pare strano, esattamente come chi affitta la propria casa in Kenya (non denunciata nel reddito italiano) mettendola anche su Air BnB dovrebbe pagarle.
No, gli italiani difficilmente assorbono la parola “tasse”, figuriamoci cosa ne vogliono sapere di importazioni “fai da te”. Anche perché a Mombasa, pare, ci sia un metodo molto più efficiente, diretto e umano per ovviare a questo problema. Una delle pagine del vostro passaporto, al controllo dei bagagli, potere dell’Africa, magicamente si trasformerà in una banconota da 1000 scellini e scivolerà al cospetto dell’attendente pronto ad imporvi la gabella sui vostri beni di prima necessità, senza i quali il soggiorno all’equatore non sarebbe lo stesso!
Semplice, come dar calci ad un barattolo (di San Marzano), avrebbe cantato il dimenticabile Gianni Togni.
Ma è altrettanto semplice che alcuni agenti, all’uscita dell’aeroporto, sappiano o vedano la scena della banconota del passaporto e se ne approfittino, minacciando di denunciarvi per avere un’altra paginetta preziosa del vostro documento.
Che cattivi questi keniani! Che approfittatori! Pronti a rendervi la vita difficile per un pezzetto di grana padano (neanche fosse parmigiano reggiano, in più l’ho comprato all’Eurospin…) e per due pacchi di spaghetti (per la precisione, vermicelli). L’ondata di lamentele velate di razzismo che ne conseguono sui social network sono tutto un programma.

E alla fine è quello che dà più fastidio, almeno a chi scrive. La faccia tosta di chi non solo cerca di approfittare degli altri come fosse in un terzo mondo di mezzo secolo fa, con gli stregoni di Zigozago con la sveglia sul collo che segnava le 23, ma che nel momento in cui gli Zigozago rispondono con la stessa moneta (la corruzione è una partita a due, per giocare ci vogliono un corrotto e un corruttore, ma guai se i ruoli s’invertono durante il match…) si battono le dita sulla tastiera come fanno i bambini con i piedi in terra.
Chissà perché queste cose succedono solo agli italiani?
Sarà perché tedeschi, inglesi e nordici non mangiano la pastasciutta e bevono quella brodaglia del Nescafé?
Chi non ha niente da nascondere, non ha bisogno di altre pagine nel passaporto.
Pensare che il Kenya non è più una destinazione facile e felice perché non puoi introdurvi pasta e formaggio a volontà, pare un po’ riduttivo nei confronti di un paese così straordinariamente complesso in tutte le sue accezioni. E considerare le autorità keniane disdicevoli perché invece di portarvi in ufficio e sequestrarvi tutto ciò che state cercando di importare e di cui non avete fattura, vi chiedono una pagina in più di quel passaporto che avete rinforzato per l’occasione, mi sembra ancor meno onesto.

Nei giorni scorsi l’ufficio immigrazione dell’aeroporto di Mombasa voleva arrestare un connazionale armato di un coscione di prosciutto crudo da 7 chilogrammi con tutto il suo bell’osso.
L’uomo si è giustificato dicendo che lo avrebbe distribuito in un villaggio di povera gente. Niente da fare, anche di fronte a una decina di pagine di passaporto che svolazzavano nell’aere, il San Daniele è stato sequestrato.
Non spiace tanto per lui, quanto per la comunità di quel villaggio che aveva fatto una colletta per l’occasione, acquistando un’affettatrice nuova di zecca e che ha dovuto mangiare i meloni di Voi acquistati al supermercato di Malindi, con i pescetti affumicati del fiume Sabaki…

TAGS: valigieimmigrationaeroportoimportazionetassesatiraitaliani

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