L'angolo di Freddie

RACCONTI

La ballerina africana e l'uomo bianco

Un racconto romanzato ispirato a un fatto di cronaca

19-02-2008 di Freddie del Curatolo

Come balla bene questo bianco…insomma, si capisce che è la prima volta che s’infila in mezzo a una danza tradizionale delle nostre…magari ha frequentato quelle discoteche-bordello in cui non entrerò mai nemmeno se mi pagano (ed è sicuro che mi pagano).
Sono stata una volta sola a Dar Es Salaam e l’ho vista da fuori una di quelle balere del sesso, mentre passavo in matatu. Aveva insegne colorate e perfino i buttafuori ammiccavano come “shoga”, checche con i muscoli. 
Ho capito in un attimo che non ce l’avrei mai fatta.
A Dar Es Salaam sono andata a visitare una zia che in punto di morte mi avrebbe lasciato un po’ di soldi, a me e a tutto il gruppo di danze folkloristiche, se non fosse arrivato un cugino poliziotto a far man bassa di tutto. Me ne sono tornata al villaggio con una catenina d’argento (non l’ho ancora venduta) e un vestito tradizionale da matrimonio che verrà buono per mia figlia Caroline.
Ecco, quella sera, tornando da casa della zia, un pensierino ce l’ho fatto. Mi dispiaceva arrivare al villaggio a mani vuote, dopo aver creato una certa aspettativa. Il vecchio padre avrebbe tenuto il broncio per una settimana e i bimbi si sarebbero messi a frignare. Mi sono detta: adesso faccio fermare il matatu e vado. Mi offro per qualche migliaio di scellini a un mzungu arrapato o a un indiano unto e domattina presto riprendo il viaggio. Non ce l’ho fatta. Meglio affrontare l’onta del fallimento di una missione familiare, piuttosto che nascondere tutta la vita ai miei cari un peccato a cui il Signore ha assistito.
Magari in quel lupanare ballereccio avrei incontrato un mzungu saltellante e simpatico come questo che mi sta volteggiando intorno, davanti a fotografi e telecamere, sarebbe stato veloce, indolore e remunerativo. Magari.
Questo qui ha un’espressione da idiota e anche qualche tic, ma non è come gli sfigati che arrivano qui con i pulmini dei viaggi organizzati. Quelli sembra che non hanno mai visto un nero. Appallano gli occhi come fossimo una razza d’animale che hanno studiato soltanto sui libri. Battono le mani fuori tempo e ridono, ma è una risata trattenuta, la bocca non si spalanca come quando ti stai divertendo davvero. Sembra che qualcuno li abbia obbligati ad assistere al nostro spettacolo.
Soltanto alla fine, quando vogliono scattare la fotografia accanto ai nostri corpi esausti e sudati, sembrano realmente felici, pare che la loro visita abbia avuto un senso. Siamo come prede anelate, seguite e finalmente catturate nelle immagini che porteranno dietro tutta la vita, raccontando a chi non c’era quanto si sono divertiti quel giorno. Ma è solo una mia impressione, per carità.
Eppure il signorotto bianchiccio di una certa età non sembra capitato qui per caso. Intanto è protagonista dello spettacolo almeno quanto noi, poi non è lui a scattare le fotografie ma sono altri mzungu a fargliele. Forse è il giorno del suo compleanno. 
Il suo sorriso è rilassato, diverso dai sorrisi mzungu che mi devo sorbire di solito.
Per lui siamo uno spettacolo, non animali danzanti a contorno del safari. Si vede che ha viaggiato, il vecchio.
Sharina, la mia amica ballerina che ha esperienze anche in Kenya, a Mombasa e a Malindi e che nelle discoteche-bordello ha fatto faville, ma non si vergogna a raccontarlo in giro tanto suo marito è mezzo scemo (“quaranta capre fanno un cervello” si dice dalle mie parti), dice che il mzungu è un americano, e gli americani il ballo ce l’hanno nel sangue: gliel’abbiamo insegnato noi neri deportati, hanno copiato le nostre danze tribali e gli hanno dato una parvenza d’eleganza meno istintiva e più studiata, meno animale e più gay.
L’americano ora mi tocca, chiede le mie carezze. Oddio, magari finito lo spettacolo mi chiede di seguirlo da qualche parte, come fece un buzzurro italiano l’anno scorso. Parlava una lingua sconosciuta anche a Sharina, che l’italiano lo mastica come masticava a Malindi. 
“Dev’essere bergamasco” diceva, storcendo il naso.
Non è una bella malattia, a mio modo di vedere. Emetti dei versi gutturali come lo gnu nella stagione dell’innamoramento e ti s’ingrossa il naso come al cane morso dal serpente.
Ora siamo guancia contro guancia, ma non guarda me, guarda le telecamere. Fa il finto tonto. Io continuo a ballare come se niente fosse, le bandiere della Tanzania sventolano ovunque, il cielo si è aperto completamente e l’incalzare delle percussioni rende l’atmosfera magica. Se non ci fosse questo intruso col sorriso di plastica a farsi fotografare, sarebbe una delle performance migliori del nostro corpo danzante, ma così è un po' più erotico, non so, sarei bugiarda a negare che mi smuove qualcosa dentro. Il pensiero principale però è che alla fine della performance stavolta avremo ognuna dei soldi extra, potrò permettermi due chili di rottura di riso e magari anche delle ossa di bue da mescolare agli spinaci. Stasera sarà una cena speciale, e lo dobbiamo a questo mzungu simpatico e un po’ imbecille.
Ecco, la danza è terminata.
Da un palchetto improvvisato si alzano in piedi persone importanti del mio Paese, bianchi e neri si stringono la mano. Dice Sharina che il bianco ha dato loro un sacco di soldi per comprare medicine contro la malaria. 
Le telecamere spengono i loro occhi rossi e il bianco ringrazia tutte noi. 
Mi guarda.
Lo guardo.
Forse sta scattando qualcosa.
Mi accarezza un braccio, ma qualcosa lo frena.
Due individui enormi vestiti di nero lo invitano a seguirlo, hanno lo sguardo serio e dei fili bianchi gli pendono dalle orecchie.
Sembrano venuti da un altro pianeta.
Il bianco non smette di sorridere ma è chiaro che è in evidente difficoltà.
Dove lo portano?
Non sarà mica colpa mia…
Un frastuono incredibile squarcia l’aria, la terra rossa si appiccica ai nostri corpi sudati, le gonne multicolori si alzano e mostrano i mutandoni di poliestere nei quali siamo inguainate. Le piccole Tanya e Mami fanno per scappare terrorizzate. Sharina le blocca, con uno sguardo rassicurante.
Una cavalletta a motore, di quelle che chiamano elicottero si posa sul prato a pochi metri da noi.
I due uomini scortano il bianco fino all’ingresso, quello non smette di sorridere e prima di infilarsi nella cavalletta alza la mano destra e la agita. Guarda verso il palchetto, poi si gira e un secondo prima di salire mi lancia l’ultima occhiata. Sharina sta catechizzando Mami, l’occhiata è tutta per me. Se non fossi nera, diventerei rossa. 
Uno degli omoni chiude il portello della cavalletta e la terra rossa si solleva un’altra volta. 
Non posso che chiudere gli occhi, ma non è il buio ciò che vedo, nel rumore delle ali meccaniche. Ho impresso il volto ebete e inoffensivo di quel bianco, la fragilità interiore da capretta alla corda a cui è stato concesso, per pochi minuti, di saltellare e brucare più in là del suo raggio.
Un uomo triste che si è sentito per un attimo qualcuno, una persona diversa, allegra, lontana da se stessa e dal suo mondo ricco ma infelice.
Forse anch’io, all’incontrario, potrei sentirmi così bene, in una discoteca di Mombasa o di Malindi. Liberata dai pensieri di ogni giorno, dal peso del peccato, della ricerca quotidiana del cibo, dai compiti a cui le donne e solo le donne devono assolvere, dalla stupidità dei maschilisti capaci solo di ubriacarsi e creare problemi che non sanno risolvere se non creando altri problemi, dalla inconsapevole crescita dei figli e dai consigli antichi e presuntuosi dei padri.
Entrando e uscendo da mzungu come quell’americano, potrei imparare qualcosa, vivere la vita in maniera totale, allargare i miei orizzonti. Fors’anche arricchirmi spiritualmente, senza dovermi pentire di niente, fiera e libera come Sharina e come tante altre ragazze della mia età.
Grazie, sconosciuto americano. 
Domani faccio la valigia e parto, una nuova vita mi attende. 

(ANSA)- DAR ES SALAAM, 18 FEB – Il presidente americano George W. Bush è arrivato ieri in Tanzania, nell’ambito del suo tour africano, che non toccherà il Kenya, dove è impegnato il suo vice Condoleeza Rice, nella difficile opera di mediazione conseguente alla crisi politica post-elettorale. Bush si è intrattenuto in danze tribali, scambiando ammicchi ed effusioni con le ballerine locali, in un clima gioioso di festa davvero insolito per il paese africano, uno dei più poveri del mondo. Dopo la calorosa accoglienza ricevuta, Bush ha voluto ricambiare salutando i suoi ospiti in swahili, la lingua locale. “Vipi Mambo” (“ciao, come va?”), ha detto il presidente Usa ad una conferenza stampa. “E' stato commovente vedere così tanta gente per la strada che ci salutava”. Al presidente tanzaniano Mkapa ha regalato scarpe da baseball firmate da un noto campione, ricevendo in cambio un leone e un leopardo impagliati e una pelle di zebra.

TAGS: ballerina africanauomo biancomzungu africa

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