L'ANGOLO DI FREDDIE
22-02-2024 di Freddie del Curatolo
L’anarchia di Nairobi è una forma di autogestione in continuo movimento. I matatu ne sono certamente l’espressione più eclatante. Se altre entità si sono prese le acque fredde e le hanno mescolate alla terra per farne malta da costruzione, il popolo dei matatu si è preso la strada e ne ha fatto il suo regno.
Ne ha annusato la polvere, corteggiato le buche, abbracciato gli asimmetrici rondò. Ha assaltato marciapiedi, penetrato sensi unici, violentato perfino il Cbd dopo aver conquistato e sottomesso le aree suburbane.
I matatu deridono le istituzioni e offrono loro l’alibi dell’insostenibilità del traffico, i matatu non hanno leggi, sono isole indipendenti che fluttuano in un arcipelago gulag a cielo aperto, cartelli di una mafia disorganizzata ma organica, cartelloni pubblicitari a cui aggrapparsi per sopravvivere nel nomadismo quotidiano di città.
Non hanno fermate, cambiano capolinea e autisti ogni giorno, accostano e si scostano come avessero i paraurti di gomma degli autoscontri sui fianchi. Sono loro a salutare e chiamare le persone ferme sul ciglio della strada, senza fare differenza di casta, di razza, di espressione. Se devi muoverti e non hai troppi soldi, il matatu è lì che ti corteggia, come fosse un bullo di quartiere agghindato in maniera originale e provocatoria…
...Oggi è difficile immaginare Nairobi senza matatu, anche se continuano a simboleggiare il traffico infernale, trasgressione delle norme stradali, lo spaccio e ogni altra attività illegale oltre a ogni apparenza possibile della goliardia.
Artisti pop, provocanti starlette, predicatori, criminali o personaggi del passato sono abbinati a frasi della Bibbia o del Corano, strofe di canzoni o detti celebri. Sulla Kenyatta Avenue il rapper 50 Cent sorpassa in curva Che Guevara, mentre Beyoncé accosta e chiude il varco a Pablo Escobar.
La corsa in matatu è uno dei classici momenti di aggregazione africana moderna in spazi chiusi: casse e subwoofer che sparano black music a tutto spiano, giovani che urlano apprezzamenti in slang, giovani madri che allattano, uomini in giacca e cravatta che non vedono l’ora di scendere e bigliettai appesi alla portiera semiaperta o addirittura rimossa che, come direttori di un’immaginaria orchestra del caos, guidano all’attracco in ogni spazio ai bordi delle strade e reclutano passeggeri.
Periodicamente vengono messi al bando, spediti fuori dal centro, controllati e sverniciati. Ogni volta ne escono indenni, più forti e scoppiettanti di prima e si riempiono di nuovi colori, slogan, graffiti che li rendono in confondibili e allo stesso tempo di tendenza.
Il bullo di quartiere trova sempre lo spazio per un nuovo tatuaggio sulla sua pelle segnata dalla vita pericolosa e ha la musica giusta per invitarti al ballo.
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