EDITORIALI
08-11-2024 di Freddie del Curatolo
Uno degli aspetti che attraggono maggiormente gli occidentali che frequentano il Kenya e la Tanzania, è il ritmo di vita della popolazione locale. Un “andamento lento” come cantava il napoletano Tullio De Piscopo, una cadenza che agli italiani del settentrione può ricordare in effetti il prendersela comoda della gente del sud. Nella cultura swahili della costa africana che si affaccia sull’oceano indiano, questo stile di vita assurge a filosofia e viene chiamato “pole pole”.
Due detti popolari swahili illustrano, come spesso fanno i proverbi, meglio di ogni discorso quello che è l’elogio della lentezza dell’Africa equatoriale. “Haraka haraka, hakuna baraka” (letteralmente “A far le cose di fretta non c’è alcuna benedizione” ma “baraka” significa anche “guadagno”) e “Pole pole ndiyo mwuendo” (“La lentezza è il giusto andare”). Ma non si tratta solo di una vita alla moviola, che potrebbe suonare come un ritardo di riflessi o, peggio ancora, mentale. Pole pole, per un keniano, significa soprattutto prendersela con calma, perché affannarsi serve a ben poco. La cosa appare molto chiara quando arriva l’uomo occidentale, il famoso “mzungu” che è abituato a fare le cose di fretta, ottimizzare i tempi e pensare che la vita vada vissuta freneticamente perché solo così ci si gode ogni singolo attimo.
Per gli africani, ancestralmente, è esattamente l’opposto: il tempo che scorre facendo ogni cosa senza premura, è un tempo sano, ben goduto, che si appacifica con l’esistenza. Se il tempo è denaro, ad esempio, è naturale che si debba dare più importanza al denaro, perché è quello che manca. D’altra parte però il tempo è il bene prezioso che tutti abbiamo, anche chi non ha e non avrà mai denaro.
Ecco perché il “pole pole” si abbina spesso con un’altra espressione-filosofia della gente swahili, che è “hakuna matata”, ovvero “nessun problema”, frase resa celebre nel mondo dal celeberrimo cartoon della Disney “Il re leone”.
Un anziano professore e poeta di Lamu mi disse una volta “chi vive di fretta, non solo non si gode la vita ma non si godrà nemmeno la morte”.
Questa saggia sentenza, di impronta involontariamente buddista, soprattutto perchè pronunciata da un mussulmano, quindi da chi dovrebbe credere nell’aldilà e non nello sfruttare il massimo potenziale dell’energia dei viventi, mi ha sempre fatto pensare.
Noi del “pole pole” siamo soliti vedere gli aspetti piacevoli e rilassanti della contemplazione, quelli divertenti e grotteschi dell’eccessiva calma della popolazione locale, e quelli a volte criticabili dell’eccessivo lassismo e della più natura indifferenza, che sul lavoro o nei servizi possono diventare menefreghismo ed innervosire chi ha un’attività o un cliente.
Anche se poi sono gli stessi “mzungu” che vivono nei paesi di cultura swahili o li frequentano, a diventare dipendenti del “pole pole”, che agisce su di loro come un calmante naturale e, come dico nella mia poesia-monologo sul Mal d’Africa, “il sistema nervoso si sistema, non si innervosisce”.
Perché se ben guardate, il “pole pole” è accettato sia da chi lo pratica quanto da chi lo riceve o, come siamo più propensi a pensare noi, lo subisce. Il ragazzo in coda da quaranta minuti per ritirare due spiccioli con il telefonino è tranquillo quanto l’impiegata che si prende tutto il tempo che ritiene necessario a trattare ogni cliente dall’altra parte dello sportello come se dovesse passare lì la notte. Così come l’attesa di un comizio poltico o di un’assemblea per decidere qualcosa di comunitario, annunciata per un certo orario, avrà luogo sicuramente tre o quattro ore più tardi, ma gran parte degli astanti saranno lì addirittura da prima del presunto inizio. Potremmo andare avanti con decine di esempi che portano alla stessa conclusione: il “pole pole” è reciproco, democratico e popolare. Per questo lo possiamo definire un fenomeno di cultura.
E voi turisti, dalle facili sentenze che in questi tempi rapidi e liquidi devono finire in un post sui profili social, sappiate che non si tratta solo di paragonare i difetti della frenetica vita occidentale e le relative frustrazioni, con l’abbandono quasi totale, quello è il classico effetto vacanza. Vivere il “pole pole” non significa solo fare a meno della sveglia e di altri orpelli che simboleggiano gli assurdi ritmi dell’era moderna del “chi si ferma è perduto”, significa anche metterlo in relazione con altri aspetti, positivi o meno dell’Africa.
Dal cosiddetto vivere alla giornata alla rassegnazione come forma di sopravvivenza, dall’inesorabile legge del più forte del regno animale, al trovare sempre l’espediente più comodo per cavarsela.
Pole pole, a livello inconscio, è l’equazione della velocità abbinata al realismo di ciò che l’uomo è.
Per usare una metafora automobilistica, se non sai guidare, perché premere sull’acceleratore? Vai piano, goditi il paesaggio e non ti curare del tempo che ci impieghi. Sicuramente arriverai e sarà più piacevole, interessante ed appagante raccontare quel che hai visto durante il viaggio.
Per chiosare, invece, trovo azzeccato citare un antico proverbio africano: "Ciò che cresce lentamente, mette radici profonde".
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