EDITORIALE
25-05-2020 di Freddie del Curatolo
Nel programma economico di Governo per affrontare il dopo pandemia, che significa “chissà quando ma speriamo presto”, il Presidente Uhuru Kenyatta ha messo al primo posto una sinergia tra servizi sociali ed infrastrutture che, se veramente applicata, potrebbe essere l’inizio di una nuova era per il Kenya. Negli ultimi anni il Paese ha fatto passi da gigante e chi ricorda bene da dove arriva gran parte della classe dirigente di oggi e come si è formato l’estabilishment che regge le sorti della Nazione, non può negarlo.
L’ancestrale battaglia contro il tribalismo, “un ostacolo al futuro del Kenya” come lo definisce il grande poeta mijikenda Kazungu Wa Hawerisa e quella più dura e difficile da vincere contro la corruzione, adesso attendono un welfare intelligente che punti sulla crescita sostenibile del Paese, partendo dalle classi disagiate, fornendo loro strumenti, non assistenza (che pure ha sempre latitato) o sogni estemporanei (specie in periodo pre-elettorale).
Ecco la disposizione di Kenyatta: dare lavoro a mezzo milione di giovani disoccupati, impiegandoli nella riparazione delle strade del Paese dopo la stagione delle piogge.
E non crediate sia normale manutenzione ordinaria: in tutto il Paese a luglio si deve fare i conti con ponti crollati, voragini nelle strade asfaltate, frane in quelle in murram. Con tombini saltati, buche profonde, marciapiedi divelti, muri di contenimento sbriciolati.
Per tantissimi giovani keniani non avere un lavoro retribuito è uno dei mali endemici della loro Nazione, ma per molti di loro diventa anche un alibi per inventarsi la vita alla giornata e rifiutarsi di crescere, ignorando chi come loro è partito dalla povertà assoluta ma con forza di volontà e con l’innato talento per imparare i mestieri che questo popolo possiede, hanno svoltato la loro esistenza. Perché in Kenya ancora oggi, laddove il mondo occidentale non te ne da quasi più la speranza, si può ancora crescere. Allora ben venga questa decisione del Governo, nella speranza che non sia solo un proclama per tenere buoni i cittadini e le lobby che iniziano a scalpitare e a chiedere la riapertura del sistema Kenya.
Nelle località turistiche ad esempio, per parlare di quello che interessa gran parte degli italiani che hanno a che fare con questo Paese, ci sarebbe bisogno come il pane di un restyling delle strade, sia quelle di immediata competenza dello Stato, ovvero la Mombasa e la Lamu Road, sia di quelle che sono vincolate da autorità regionali (Kenya Urban Rural Authority) come Casuarina Road, che quelle la cui manutenzione spetta alla Contea di Kilifi.
Tutto questo in attesa che riaprano confini di Contea, che finisca di piovere, che i soldi della Banca Mondiale per il lungomare siano ancora lì e che si torni a pensare che dopo il Covid-19 bisognerà sudare un po’ di più per convincere i turisti a fare ritorno da queste parti, quindi bisogna mettersi d’impegno. E il modello Kenyatta non deve diventare un palliativo dell’emergenza, ma potrebbe essere la regola di un futuro in cui le amministrazioni riescono a prendere due cornacchie con un pezzetto di ugali, come si direbbe qui.
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