STORIA KENYA
02-04-2025 di Freddie del Curatolo
La nostra memoria di cronisti di Kenya è fatta anche di episodi che non avremmo mai voluto raccontare, spiegare in italiano e vivere a cosi pochi chilometri da casa.
Uno di questi è l'attentato terroristico all'università di Garissa, di cui oggi ricorrono i dieci anni.
Si tratta di uno degli episodi più tragici ed incresciosi della storia del Kenya indipendente, il secondo per numero di morti dopo l'esplosione dell'ambasciata americana di Nairobi, con 147 studenti cristiani uccisi dalla furia di estremismo religioso di matrice somala, nella cittadina vicina al confine con lo stato in cui le milizie di al-Shabaab ancora oggi costituiscono una minaccia.
L'ateneo, splendido esempio di integrazione tra studenti di fedi differenti, ospitava più di settecento ragazzi, quasi tutti provenienti da altre regioni e ospiti del campus e del dormitorio. Qui il gruppo armato, costituito da una decina di persone, ha fatto irruzione all'alba del 2 aprile 2015, sparando sulla sicurezza e poi cercando nelle aule di studio e nelle camerate gli studenti cristiani e chiedendo a quelli di religione mussulmana di palesarsi e scappare. Più di 500 studenti sono riusciti a fuggire, un'ottantina sono rimasti feriti. Quattro terroristi kamikaze si fecero esplodere, uno venne ucciso dalla polizia e gli altri riuscirono a far perdere le loro tracce.
Tra gli studenti miracolosamente salvi c’era anche Annastaciah, giovane studentessa keniana che venne fatta stendere a terra e colpita da colpi di mitra insieme alle sue compagne di stanza e, pur perforata in varie parti del corpo ma non alla testa come le amiche, fu creduta morta e si salvò. Ci raccontò la sua storia dopo 36 interventi chirurgici che in cinque anni la “ricostruirono” anche se non hanno potuto cancellare la memoria e quel buco nero nella sua anima. Annastaciah si laureò, grazie anche ad una borsa di studio di solidarietà, in Matematica e Fisica all’università di Garissa. “I sogni – disse lei – non si possono uccidere con la paura né con le ferite”.
L'attacco, per la sua efferatezza e per l'obbiettivo, giovani e volonterosi studenti, molti dei quali finanziati da sacrifici di genitori non certo benestanti, provocò grande commozione in tutto il mondo. Nel corso degli anni sono stati realizzati documentari e decine di interviste. Il principale indiziato, ritenuto la mente dell'eccidio, è un ex professore della stessa università di origine somala, Mohammed Kuno, scappato in Somalia. Secondo le cronache, Kuno sarebbe stato ucciso due volte: la prima nel 2016 e la seconda, in un attacco delle forze internazionali a Chisimaio, nell'agosto dello scorso anno.
L'Italia è stato uno dei Paesi a muoversi più rapidamente, nell'aiutare i sopravvissuti. Due settimane dopo l'attentato, l'allora ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, venne in visita a Nairobi ed attivò un piano di solidarietà che, attraverso il nostro Istituto Italiano di Cultura, prevedeva l'istituzione di 25 borse di studio per gli studenti di Garissa che ne avessero fatto richiesta.
Quattro anni fa abbiamo intervistato due di loro, Shueib e Bervin. Entrambi ancora restii a raccontare il dolore, la paura e lo strazio di quei momenti, ed entrambi contenti di essere stati "salvati" nel loro percorso umano e professionale, dall'Italia, all'università per stranieri di Perugia.
“Io a Garissa ci sono cresciuto, è casa mia – ci aveva raccontato Shueib – sono due anni che non torno e non so ancora quando lo farò. Mi manca tanto il Kenya, ma ora la mia vita è qui, grazie a chi mi ha fatto intravvedere la prima luce di speranza dopo il buio totale”.
A dieci anni di distanza, è giusto non dimenticare quel che è accaduto ma anche che dietro anche alle vicissitudini più tristi e disumane, c'è una rinascita e la forza dell'uomo, particolarmente dei giovani, è più forte di qualsiasi macabro e arido piano di distruzione.
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