KENYA
12-02-2022 di Freddie del Curatolo
Mentre i politici del Kenya sono già impegnati nella caccia alle loro prossime poltrone e i media nazionali, riverenti e allineati all’oppio dell’informazione mondiale, danno risalto solo alle loro schermaglie, un rapporto esaustivo pubblicato dal Kenya Institute for Public Policy Research and Analysis (KIPPRA) illustra con chiarezza i danni creati dalla pandemia e dall’esigenza di seguire i dettami dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e le relative restrizioni.
Ci troviamo all’inizio del 2022, a poco meno di due anni dall’inizio dell’emergenza in Kenya, con un terzo dei keniani appartenenti alle fasce sociali medio-basse che non possono permettersi di pagare l’affitto di casa. Molti di loro hanno dovuto già fare un passo indietro rispetto ad un tenore di vita che nel 2019 finalmente li elevava poco oltre la soglia della sopravvivenza, fissata per convenzione ad un dollaro circa al giorno.
A Nairobi la soglia, per poter accedere a determinati servizi, come la luce, l’acqua e un locale con due stanze per una famiglia di 4/5 persone, era un po’ più alta e presupponeva uno stipendio di almeno 20 mila scellini keniani al mese (circa 180 euro). L’affitto medio del 70% dei keniani si aggira intorno ai 5000 scellini al mese, mentre solo il 4% della popolazione paga più di 10.000 scellini.
Il KIPPRA mostra che mentre prima della pandemia solo il 6,6% dei keniani non poteva permettersi di pagare l’affitto di casa e rischiava di restare senza un tetto o di tornare alla dimensione rurale di un tempo, rinunciando alla possibilità, anche tramite il lavoro, di ovviare alla miseria totale, alla fine del 2021 la percentuale è schizzata al 37,5%.
Secondo il rapporto, circa 6,2 milioni di keniani hanno perso il posto di lavoro o hanno visto il loro stipendio tagliato in maniera sensibile. Per gli esperti si tratta della più grande regressione nella povertà che il Kenya abbia mai subito nella storia della sua repubblica.
"Prima della pandemia del Covid-19, circa il 45,8% delle famiglie pagava l'affitto alla data concordata con il proprietario. Dopo la pandemia, lo fanno circa il 30,8% delle famiglie – denuncia la ricerca - Le famiglie che avevano accesso a scorte alimentari hanno mostrato che solo nelle aree a medio-alto potenziale hanno mantenuto una soglia di sopportazione, avendo scorte alimentari che sarebbero durate fino a meno di una settimana. La povertà alimentare è un grande problema e le famiglie di tutte le contee sono vulnerabili”.
Se la casa costituisce un ostacolo fondamentale ad una vita decente e alla salvaguardia del nucleo familiare, i keniani sono ora colpiti anche da una grande crisi alimentare, concentrando le loro spese, con risparmi ridotti al lumicino, sulla sopravvivenza e dovendo rinunciare non solo al surplus, ma ad esigenze fondamentali, come l’assistenza sanitaria, la fornitura d’acqua e di luce elettrica.
Questo a medio termine potrebbe portare all’insorgere di patologie che fanno sembrare il Covid-19 il minore dei mali. Da qui, come in tempi non sospetti abbiamo illustrato nel libro “La pandemia in Africa, l’ecatombe che non c’è stata”, si capisce l’indifferenza verso il virus, la difficoltà a capire il perché delle restrizioni e delle chiusure che hanno peggiorato la vita di milioni di persone, mentre i pochissimi che già stavano bene non ne soffrono e oggi conquistano le prime pagine dei giornali con la loro fame e sete di potere, alla faccia di chi ogni giorno cerca disperatamente di stare a galla.
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