L'angolo di Freddie

RACCONTI

Nonno Kazungu e il Coronavirus

La filosofia giriama tra numeri e (bi)sogni

27-06-2020 di Freddie del Curatolo

Nella vallata del Galana il tramonto ha spesso i colori della papaya matura ma non sempre, in questo periodo.
Nei giorni di pioggia, misteriosamente prima del buio le nuvole fanno passare uno squarcio di sole e la papaya prende fuoco come fosse stata messa sulla brace ed invece di abbrustolire pare sciogliersi. La sua polpa diventa tempera sulla grande tavolozza del cielo e s’illumina di violetto, arancio e azzurro intenso, mischiando i colori prima di stenderli sulla tela infinita della savana.
“Nonno, io mi sono rotto le scatole di questo Corona”
Il vecchio Kazungu sorrise sotto l’accenno di baffetto bianco che spuntava dal bicchiere personale per il vino di palma, ricavato dal collo della zucca. Ripensò agli ultimi mesi, alla sua testa piena di numeri quotidiani che non significavano più che quello...numeri.
Quasi che le persone fossero diventate cifre come carcerati, come schede telefoniche.
Non era meglio piuttosto rimanere un Kazungu, un Kitsao?
Poveri, ma con una dignità scritta nel nome.
“Non vedo chi potrebbe essere contento della diffusione di un virus, nipote mio”
“Le case farmaceuticheeeee” urlò dalla capanna di fianco l’elettricista Makotsi.
“E’ vero! Lo hanno creato loro” gli fece eco Kamongo, il venditore di telefonini.
“Ma come, ragazzi...per lavoro trovano cure per le persone e invece li infettano? E’ come se il nostro amico Matenge, quello delle onoranze funebri, andasse in giro ad uccidere la gente per guadagnare di più...io non ci credo”.
“Fatto sta, nonno, che io da tre mesi non posso più studiare e non so nemmeno quando potrò tornare in classe. A cosa serve essere il più bravo della scuola se poi te la chiudono?”
I giovani...il futuro del Kenya senza futuro.
Quasi meglio ai suoi tempi, quando il futuro non esisteva e ci si godeva di più la giornata o al limite non ci si pensava neanche.
Però era giusto farglielo immaginare questo futuro, altrimenti poi non riesci a sopportare il presente.
“Prima o poi la riaprono, vedrai, nipote. E tu svetterai! Come hanno fatto con la Premier League e il Liverpool che era il più forte, ci ha messo appena dieci giorni per vincere”.
“Lasciamo perdere con questi discorsi, per favore...” urlò Makotsi, che era tifoso del Manchester City.
“Sì, però Mzee...non puoi essere così fatalista buonista ottimista pacifista e altri dieci aggettivi che finiscono con “ista”...”
“Teppista, Ballista, Casinista!” strepitò Kibebe lo scemo saltellando ai piedi del grande baobab.
“Fatto sta che se non riaprono il Paese, qui moriremo tutti di fame”
“Di fame non è mai morto nessuno da queste parti...guardati intorno...abbiamo frutta a volontà, i campi con le piogge traboccano di sukuma wiki, mchicha e mnavu...abbiamo l’okra, le zucchine e la zucca, le melanzane bianche e tra poco è pronto il mais. Moriremo di malaria, di colera, di polmonite come siamo morti fino ad oggi...ma non di fame. Ci siamo anche dimenticati come si caccia...non si muore per la mancanza della tariffa per internet sul telefonino, e nemmeno se manca il carburante della motocicletta. Si fa solo più fatica...si deve tornare un po’ indietro. Ma non tutto quello che c’era indietro è da buttare. Io sono stato bene, indietro. E guardatemi qui, a novantacinque anni posso ancora bere mnazi, cantare e ballare”
“E raccontare le tue storie...” sorrise il nipote Kitsao.
Dall’altra parte della strada, che da qualche mese era stata asfaltata, arrivò anche il gestore del Safari Bar, che si preparava a chiudere bottega anzitempo per rispettare gli orari imposti dall’emergenza. Gli ultimi tuk-tuk caricavano sacchi di carbone e sporte di verdura e scomparivano dietro alla curva che li riportava alla caotica e depressa civiltà.
“Hai sentito, Kibonge? - Disse Makotsi al suo indirizzo – Mzee dice che non moriremo di fame...”
“Ah sì? Può essere...ma almeno se togliessero il coprifuoco potrei pagare l’affitto a fine mese e dissetare qualcuno fino a tarda sera...potremmo guardare le partite insieme come quattro mesi fa, rivedere Josephine bellechiappe!”
“Bravo Kibonge! Forse non ci hanno tolto il cibo, ma ci stanno negando la vita!”
Nonno Kazungu ripulì il suo mboko con uno straccio disinfettato e lo ripose in una borsetta di juta.
“E di cosa altro è fatta la nostra vita, a parte scherzare insieme, fare le ore piccole, bere birra, guardare il calcio e ammirare le ragazze discinte?”
Makotsi non ci pensò sù troppo.
“Lavorare, lavorare...portare a casa i soldi per far studiare i figli, fare contenta la moglie con un pezzo di carne e un piatto di fagioli...poter sognare di prendere una bajaji a rate...niente di speciale, la nostra vita di giriama”.
“Non è perché siamo giriama – lo ammonì Kamongo – tutto il mondo la pensa così...cambiano i sogni, magari non sarà la bajaji ma il fuoristrada o la casa in città. Ma si vive sempre tra la realtà e i sogni, se non si è ricchi”.
“Però bisogna calarsi bene nella realtà, altrimenti i sogni diventano incubi”.
“E se si è ricchi?”
“Ah, non lo so proprio...bisognerebbe chiedere a un ricco cosa sogna. Cosa sognerà Kenyatta? Cosa sognerà Trump?”
“Secondo me neanche dormono, quelli...” disse il piccolo Kitsao.
“L’ugali è prontoooo” gridò nonna Conjestina come se le avesse prestato l’ugola un pipistrello.
Il vecchio Kazungu mise il bastone in posizione eretta e lo usò per tirarsi in piedi.
Poi lo fece roteare in aria come per annunciare l’arrivo della sera e chiedere un attimo di attenzione.
Gli uccelli smisero di cinguettare, il vento sembrò fermarsi.
Solo un camion transitò rumorosamente sullo stradone.
Prese un respiro profondo e grato del profumo dell’intingolo di pomodori e sukuma e sentenziò:
“Allora, ragazzi miei, è il mondo che è sbagliato, perché tutti stanno sognando di poter arrivare un giorno a non sognare più”.

TAGS: nonno kazunguracconti giriamavallata galanakenya corona

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