L'angolo di Freddie

RACCONTI

Un controsoffitto al posto del cielo

Nonno Kazungu va in Italia (terza puntata)

21-03-2022 di Freddie del Curatolo

La prima cosa che aveva notato, arrivando nella sala del ritiro bagagli, erano state le mille luci piazzate dappertutto.
"Chissà le ragnatele che fanno...ci vorrà un houseboy solo per quelle" aveva pensato.
Poi, mentre era affaccendato a spingere il carrello delle valigie e ad osservare i volti sorridenti e pallidissimi di parenti, amici e conoscenti ammassati all’uscita ("sono tutti tassisti?" aveva chiesto allo Svaporato) si era accorto della prima grande differenza tra l’Italia e il Kenya.
"Non c’è il cielo!"
Il mondo fuori dall’aeroporto di Malpensa viveva delle tonalità del grigio, un colore che in Africa non piace nemmeno ai topi. Grigio chiaro erano i palazzi, che ricordavano quelli del Kenyatta Airport di Nairobi ("credo che tutti gli aeroporti debbano assomigliarsi, almeno gli uccelli di ferro li riconoscono al primo colpo"). Grigio più scuro le strade, un’infinita colata di asfalto molto liscio, senza buche ma senza fiori o erba intorno. L’avevano già avvertito di questo quando era stato a Nairobi: in Italia il verde è ancora di meno. Ma il verde pallido di un’aiuola non sarebbe riuscito comunque a ravvivare l’ambiente. Perfino le automobili erano meno colorate che a Mombasa e tutte molto simili.
Ma il cielo, il cielo era la vera novità.
Una volta un suo datore di lavoro a Malindi spiegava a un amico che il cielo in Africa non lo puoi descrivere a chi non c’è mai stato, deve venire a vederlo, altrimenti non capirà mai.
Nonno Kazungu pensava che anche per gli africani che non sono mai stati in Italia è la stessa cosa. Come fai ad immaginare un cielo così staccato da terra e di un colore indefinibile?
"Non ti spaventare, nonno – lo confortò il nipote Kadenge – oggi è di questo colore, ma a volte è azzurro o turchese"
"Però è sempre così lontano, non è vero?"
Era come se in Italia avessero tolto il controsoffitto colorato a una casa ed ora rimaneva solamente un orribile tetto di lamiera.
Era forse per questo che faceva così freddo.
Improvvisamente si rese conto che l’eccitazione e la curiosità lo avevano reso atermico, ma iniziava ad avvertire l’aria pungente, il vento gelato che portava odore di gasolio e strani fumi, tracce di tabacco e pochissimo altro. Abbondavano invece le essenze passeggere della gente, profumi e colonie che il naso allenato alla savana di Kazungu catturava.
"Si cospargono così per non sentire le puzze dei motori" pensò.
L’aria, quel poco di aria pura che ogni tanto arrivava, era comunque diversa. Meno densa, meno intensa. Probabilmente anche questo era a causa della distanza del cielo, che la disperdeva.
Si ricordò le parole di un libro che lo Svaporato era solito citare, riguardo al Mal d’Africa:
"Immaginate un luogo in cui il cielo non vi sovrasta, vi attraversa, l’aria non si respira, si assapora..." era esattamente così, adesso, ma all’incontrario.
A ben guardare anche i volti e gli sguardi delle persone pagavano questa distanza e il grigio dappertutto. I volti erano corrucciati, gli occhi spenti e anche quando ridevano, sembrava che gli costasse fatica.
"E’ una tua impressione – lo redarguì la signora Ottavia – perché gli italiani quando vengono a Malindi sono in vacanza e sono più rilassati, qui la gente lavora"
"Anche a Malindi molti residenti lavorano, ma non hanno quella faccia...nemmeno gli stronzi!"
Ad attenderli nel piazzale del Terminal 2 c’era il figlio maggiore della signora Ottavia, un energumeno vestito di grigio scuro (ci mancherebbe...) che fece strada fino ad un grosso fuoristrada nero, di quelli che in Kenya resistono al massimo sei mesi sotto lo stesso padrone e poi vengono venduto a un nuovo sprovveduto arrivato dall’Italia, che a sua volta lo scaricherà dopo qualche mese in favore di una vecchia Land Rover.
Nonno Kazungu se ne stava incollato al finestrino. Il suo ottimo italiano ascoltato, che faceva da anni a pugni con il pessimo parlato, carpiva parole del velocissimo interloquire del figlio della signora Ottavia. Intanto il vecchio giriama cercava alberi in una distesa verde ramarro in cui invece spuntavano enormi case quadrate.
"Là dentro può vivere tutta Kakoneni messa insieme"
"Sono fabbriche, nonno – disse Kadenge – come quella del formaggio a Malindi"
"Come il colorificio Robbialac a Mombasa?"
"Proprio"
"Ecco perché poi si trova di tutto, in Italia..."
Le automobili correvano veloci e su più corsie, la sera scendeva con una lentezza avvertita anche da lui. Pensò che fosse normale, perché la Natura non aveva tanti colori da spegnere. Quando togli il blu del cielo, il rosso delle piste e dei sentieri, i tanti verdi della foresta, avverti subito la differenza, qui si trattava solo di passare dal grigio al nero, nessuno se ne sarebbe accorto in un minuto.
Il vecchio riprese una posizione dignitosa, all’interno del Suv. Non voleva passare per l’africano del "bush" che vede per la prima volta il mondo bianco e al suo cospetto si fa piccolo piccolo come un bambino.
Ma la curiosità e la voglia di conoscere avrebbero scaturito venti domande al secondo.
Si limitò invece a rispondere a quelle del figlio della signora Ottavia.
"Allora, vieni da noi a fare il maggiordomo?"
"Come volete voi"
"Sei contento di essere in Italia?"
"E’ sempre stato il mio sogno, vedere questo Paese. Sono felice e penso a quante cose potrò raccontare al mio villaggio"
"Non vuoi fermarti qui per sempre?"
Nonno Kazungu non rispose, si girò verso Kadenge e lo Svaporato, che sedevano alla sua sinistra nei posti dietro dell’enorme Bmw, e li guardò come a dire: "ma questo è scemo più di Kibebe!"

TAGS: nonno kazungukeniani in italiaracconti kenyasafari bar

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