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Norme anti Covid-19: Kenya batte Italia

Riflessioni semiserie dall'isolamento italico

21-04-2020 di Giovanna Grampa

Ora che in Italia e in Europa il virus sta rallentando la propria diffusione dopo due mesi infernali, c’è chi scommette e insiste con articoli sui giornali che presto toccherà all’Africa, Kenya compreso, presagendo scenari drammatici e catastrofici. Ma queste Cassandre della carta stampata forse non sanno con quanta decisione e tempestività il Kenya ha affrontato il problema della pandemia, tanto che mi sembrano doverose alcune riflessioni in merito.
Circa un mese fa il Presidente Uhuru Kenyatta, avvalendosi di una task force di 21 esperti, alla notizia del primo caso di positività ha emanato immediatamente poche e chiare norme per contrastare il diffondersi del virus : divieto di assembramento, distanza sociale, regole sanitarie, obbligo di mascherine, sospensione dei voli aerei  interni e internazionali, coprifuoco dalle 19 di sera fino alle 5 di mattino , chiusura delle attività non essenziali e da ultimo il divieto di spostarsi tra le contee con  al loro attivo qualche soggetto risultato positivo al coronavirus. Il problema sta nel fare rispettare queste direttive.
In Italia il Governo, dopo l’allarme sanitario lanciato dall’OMS già a fine gennaio 2020, vista l’ecatombe di Wuhan in Cina, avvalendosi di una task force di circa 300 cervelloni tra Istituto Superiore della Sanità, Protezione Civile, Comitati tecnico-scientifici, Commissari straordinari e chi più ne ha, più ne metta, ha temporeggiato tranquillizzando i cittadini dicendo che tutto era sotto controllo e che la popolazione non doveva preoccuparsi.
Anzi, gli stessi “esperti” virologi, che oggi ci hanno condannato agli arresti domiciliari nella speranza che non si tramutino per i più anziani in ergastolo, affermavano con assoluta e spocchiosa convinzione che parlare di diffusione del virus in Italia era pura fantascienza, assicurando inoltre che si trattava di una banale influenza.
E così, di conseguenza, sono stati organizzati aperitivi, abbracciati cinesi, divorati involtini primavera in favore di telecamere, indossando anche magliette con la scritta “Milano non si ferma”, quando già si dovevano chiudere le città. Non è stata fatta immediatamente un’ordinanza nazionale e l’epidemia è esplosa travolgendoci come uno tsunami, con i sentiti e silenti ringraziamenti del Covid-19.
I Kenyani sono stati obbligati a indossare da subito una mascherina per proteggersi dal contagio. E non importa se chirurgica, di cotone a stampa etnica, ricavata da una noce di cocco o da una grossa foglia di insalata, foto tra l’altro che girano sui social proprio perché l’unico vaccino contro la paura del virus per ora è l’ironia. L’importante è indossarla anche se, per assurdo, guidi la tua auto e sei solo. E non posso fare a meno di lodare il grande cuore degli Italiani a Malindi che hanno dato vita a encomiabili iniziative di solidarietà, distribuendo mascherine gratuitamente alla popolazione.
Vediamo in Italia come è stato affrontato il problema dalla pletora di super esperti che a febbraio ironizzavano sull’uso delle mascherine affermando, con sufficienza, che era meglio indossare una maschera di Carnevale! Il virus ha dimensioni così piccole, pochi micron, che passa ovunque, tranne per il tipo a norme CEE con filtro, destinate agli operatori sanitari.
Per ben due mesi ci hanno detto che non servivano a nulla e che le dovevano portare solo gli infetti per non contagiare il prossimo. Salvo poi dirci che in giro ci sono talmente tanti   asintomatici che spruzzano goccioline (droplets) in quantità industriale, e quindi era meglio proteggersi anche con una semplice sciarpa o foulard, in mancanza delle classiche mascherine, introvabili e vendute a peso d’oro, praticamente al carato da qualche farmacia rifornita. E così la mascherina divenne utile. Ma la sua efficacia, dicono gli esperti, non è totale in quanto ferma solo le goccioline più grandi, fornendo così indicazioni contraddittorie rispetto alle precedenti. Ci hanno ormai abituati da mesi a sentire un virologo che un giorno dice bianco e il giorno dopo, con la stessa sicurezza, dice nero.
A poco sono servite le iniziative personali di imprenditori che hanno voluto riconvertire la propria azienda per produrre mascherine, carenti su tutto il territorio nazionale, in tempi di emergenza. Hanno dovuto affrontare mille problemi per la certificazione inciampando in iter burocratici farraginosi prima di poter distribuire alla popolazione il loro manufatto, sempre che ci siano riusciti.
Mi risulta inoltre che, a Nairobi e in altre città attrezzate, prima di entrare in un centro commerciale o in zone ad alta densità umana, viene misurata la febbre attuando di conseguenza una prima selezione di eventuali casi positivi in presenza di un valore pari o superiore a 37,5 gradi.
Poche settimane fa ricevo da un amico che abita a Nairobi un messaggio abbastanza ironico in cui mi dice che prima di entrare in un supermercato molto noto, il Village Market, la sua temperatura corporea è risultata essere di 35 gradi, praticamente era in ipotermia. Non ce la possiamo fare, aggiunge sconsolato.
Bene! Adesso vi racconto quello che è successo a me non più tardi di qualche giorno fa. Il controllo della temperatura all’ingresso dei centri che vendono alimentari fino a poco tempo fa era considerato da alcuni esponenti governativi un atto contro la privacy. Finalmente ora qualcosa si muove e anche il supermercato vicino a casa mia ha deciso di misurare la febbre ai clienti prima dell’ingresso.
Rimango basita quando mi sento dire:” 35 signora, prego entri pure!”
Trovate le differenze!! E comunque dobbiamo assegnare un ex-equo tra Kenya e Italia. Non ce la possiamo fare.
Altra regola fondamentale è lavarsi spesso le mani perché il virus teme l’acqua, anzi passa proprio a miglior vita, e tenere pulite le proprie case disinfettando le superfici con prodotti a base di cloro o alcool.
Non credo che in Kenya il cittadino coscienzioso si sia ammalato di “rupofobia” come noi in Italia, ossia il lavarsi le mani in modo maniacale per paura dello sporco e quindi anche del virus.
Ogni giorno in televisione ci insegnano come lavarci le mani, disinfettare rubinetti e maniglie delle porte, come riporre la spesa nel frigorifero prima di togliere i guanti, come pulire il cellulare, come schiacciare tasti con il gomito, come cambiarci le scarpe prima di entrare in casa perché il virus potrebbe fissarsi anche sull’asfalto.
E se poi portiamo fuori il nostro cane per le sue esigenze giornaliere, al nostro rientro dobbiamo lavargli le zampe…ma non con la candeggina, come è già successo, altrimenti provochiamo al nostro animale domestico gravissime e dolorose dermatiti. E per assurdo gli Italiani si scoprono possessori di cani e non di bambini perché i piccoli devono rimanere a casa ed è proibito farli passeggiare all’aria aperta, anche nelle vicinanze della propria casa.
Abbiamo poi le case più pulite del mondo, sterili come sale operatorie. Io stessa ho pulito l’impensabile tanto che, dopo l’aspirapolvere anche la lavatrice oggi mi ha chiesto le ferie!
E le mie mani assomigliano alle zampe di un pangolino, con le scaglie.
Certamente in Kenya il vero problema è far rispettare le regole e il distanziamento sociale, ma anche in Italia non scherziamo. La voglia di evadere è così incontenibile che c’è chi va a fare la spesa 11 volte al giorno, chi fa la coda in posta con la scusa di dover fare un versamento a Frate Indovino o una donazione alla Madonna di Lourdes, e chi, in mancanza del cane, porta a spasso un coniglio nano o la tartaruga, tanto per farli camminare un po’.
Siamo sfiniti dalla marea di onniscenti, una vera e propria torre di Babele, che ci spiegano cosa fare e cosa non fare riducendo la nostra quarantena (ormai sessantena) ad un letargo, afflitti dalla sindrome dello spuntino compulsivo che ci farà ammalare comunque e guadagnare qualche chilo in più. Siamo tutti” fratelli di taglia” mentre il settore alimentare incrementa i propri fatturati nonostante ristoranti e alberghi chiusi da oltre due mesi.
I danni che hanno fatto gli esperti virologi nell’epidemia da virus sono enormi, basta guardare le cifre. Il Kenya dopo un mese di lock down ha registrato 281 contagi al 20 aprile e pochi decessi.
In Italia dopo un mese, e precisamente al 20 marzo i contagiati erano quasi 38.000 con oltre 4.000 morti. La vera situazione catastrofica l’abbiamo vissuta noi in Italia e ancora non siamo fuori dal tunnel.
Al Kenya auguriamo di superare questa pandemia con minor danni possibili e che presto possa ritornare tutto alla normalità. Mi piace pensare al virus come un corpuscolo malefico che davanti ai cieli azzurri, all’allegria delle persone, alle temperature roventi indietreggi, preferendo climi cupi e cieli grigi.
Vade retro Satana! Spero che l’Africa, con tutte le contraddizioni del caso, fermi il suo folle progetto di distruzione dell’umanità. 

TAGS: kenya virusprevenzione kenyanorme kenya

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