EDITORIALE
30-05-2025 di Freddie del Curatolo
Voglio premettere: sono ben lungi dal pensare che la terra sia piatta, che la dieta crudista ci faccia campare 90 anni, che tramite i vaccini l’oligarchia mondiale al potere ci inoculi dei microchip liquidi per controllare anche le nostre emozioni e suggerirci cose su ogni piattaforma.
Ma che l’Africa si stia piano piano fratturando, in diagonale tra il Mar Rosso all’altezza dell’Eritrea e il lago Malawi, passando per Uganda, Kenya e Tanzania per oltre 3.500 chilometri, è un dato di fatto che fa parte della scienza, non di complottisti o nuovi predicatori.
Solo che, come cantavano i Nomadi, sicuramente “noi non ci saremo”.
La cosa curiosa, infatti, è che chi frequenta l’Africa e ne è affezionato, ma ancor più chi ci viene per turismo, si stropiccia gli occhi e addirittura si preoccupa per una notizia con fondamenti scientifici di cui se il titolo già fosse (più inquietante ma più lontano dalle nostre abitudini) “tra vent’anni si staccheranno tutti i ghiacciai perenni dell’Antartide”, gliene fregherebbe molto meno.
L’Africa non solo è vicina, ma ogni cosa che potrebbe accadere nelle sue destinazioni più conosciute e frequentate, sembra appartenerci come quando si parla delle sfighe di un cugino.
Quindi, anche se la faglia della Rift Valley si sta aprendo e ne vedremo i risultati, una sorta di nemesi della deriva dei continenti, tra cinquemila anni, la catastrofe sembra dietro l’angolo.
Qualcuno mi ha addirittura scritto se non sia un pericolo recarsi in safari, dato che sono apparse delle inquietanti spaccature nella terra dei masai.
Se così fosse, da tempo l’Italia dovrebbe essere tabù e non si dovrebbero vedere turisti in Umbria, Marche, Abruzzo e, per sicurezza, nemmeno in Friuli, Irpinia e Sicilia occidentale.
Prepariamoci allora ai titoli “che inghiottono”, perché una nuova ricerca del Geophysical Research Center dall'Università di Glasgow ha individuato un “pennacchio” di roccia magmatica sotto la Rift Valley africana, proveniente dalle profondità del mantello terrestre, al confine con il nucleo.
Le analisi degli studiosi sono state condotte sui gas vulcanici nell’area geotermica del cratere del Menengai, nella zona di Naivasha.
La scorsa settimana, oltretutto, si è verificato un assestamento non proprio tranquillo, con palazzi che hanno tremato anche nella capitale Nairobi. Fenomeni che fanno sussultare i sismografi ma non i sismologi, che ritengono sia tutto nella norma. I terremoti hanno un altro aspetto e si presentano alla porta con l’irruenza di un esattore delle tasse in vena di pignoramenti.
Secondo gli scienziati, gli smottamenti e le piccole feritoie nel terreno apparse nel Maasai Mara, sono il segno di un fenomeno che può durare centinaia di anni, quello delle fratture nella superficie terrestre che si allargano progressivamente portando alla rottura delle placche continentali, alla frammentazione della litosfera (ovvero il guscio esterno roccioso della Terra composto da crosta e mantello superiore) e alla formazione di nuovi bacini oceanici.
La Rift Valley Africana è un esempio classico di questi processi geodinamici, in cui vulcanismo, terremoti e fratturazione della crosta terrestre sono le manifestazioni superficiali delle enormi forze tettoniche che modellano il nostro pianeta.
Lo studio scozzese è la prima chiara prova in chiave geotermica di come “cui un singolo super pennacchio di mantello profondo si sia prodotto in una grande massa di roccia anomala al confine tra nucleo e mantello al di sotto dell'Africa”. Da esperti di kilt con un certo afflato per lo shuka, il classico mantello masai, ce lo potevamo aspettare. Mi raccomando, occhio ad organizzare un safari nella savana del Kenya troppo in là nel tempo, chissà cosa potrebbe capitarvi già tra un paio di millenni…
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