L'angolo di Freddie

L'ANGOLO DI FREDDIE

Calcio in Kenya, speranze nella polvere

La forza dello sport per esorcizzare tempi difficili

24-06-2023 di Freddie del Curatolo

Qui non è solo “l’ultima rappresentazione sacra dei nostri tempi”, come scriveva del calcio Pier Paolo Pasolini e nemmeno la disquisizione tra amanti e detrattori per stabilire se sia o meno "il giuoco più bello del mondo".
In Kenya il "football" regala soprattutto quel senso primitivo di svago, di aggregazione, coinvolgimento e fantasia grazie a cui da gioco di strada è diventato lo sport più popolare ovunque.

L’entusiasmo dei bambini di questa parte d’Africa al solo sfiorare con i piedi una sfera di plastica o di stracci nelle radure di savana, rimanda alla nostra Penisola dell’immediato dopoguerra, ai rioni di Napoli e alle periferie delle metropoli del Nord.


Quando poi il ludos si trasferisce davanti a una televisione, negli affollati e caldi bar, tra aliti speziati e afrori liberi e selvaggi come fantasisti in contropiede, al piacere dello sport e della competizione si aggiunge lo spettacolo dell’entusiasmo, della sfida, dello sfottò e perfino del litigio che offre lo spettatore.
Le magliette delle squadre inglesi mezze strappate, con nomi di giocatori già in pensione da un decennio, le bottiglie di birra tiepida che attendono solo il momento di incocciarsi dopo un gol, le fronti gocciolanti che s’asciugano con i sottobicchieri spugnosi della Guinness.
Ve lo immaginate un locale pubblico in Kenya in cui le donne, sia pur corpulente e inguainate in vestiti da sera alle quattro del pomeriggio, sono malviste o, peggio, nemmeno degnate di uno sguardo fuggente tra un tiro sopra la traversa e una rimessa dal fondo?
 

Così come avviene per il gioco, nei campetti improvvisati sulla spiaggia o sul ciglio delle rosse strade sterrate, in Europa si è quasi del tutto persa questa atmosfera da Bar Sport anni Cinquanta. Quando il calcio era davvero sinonimo di unità e non un modo per sfogare le proprie repressioni, e il campanilismo da tifo stimolava l’ingegno, non cadeva in grette rivalse di casta. Quando non c’erano le pay-per-view e per assistere a un match era d’obbligo rapportarsi con gli altri.
 

Oggi poi, oltre al senso liberatorio di affidarsi all’incognita di una pedata, c’è anche il sogno di diventare un campione. In Kenya non si guarda più soltanto agli uomini-gazzella d’altopiano, ai maratoneti di Eldoret e Nakuru, ma anche ai funamboli del pallone, come Mc Donald Mariga, il centrocampista di Nairobi che è approdato in Italia, era nell’Inter che vinse il “Triplete” con Josè Mourinho allenatore  e affrontava gli avversari con il sorriso, come fossero mzungu da accogliere all’aeroporto con il tormentone “jambo, habari? Karibu Kenya”.

Anche il sogno è incorrotto, qui. Non è desiderio di soubrettine, di yacht e di bella vita nei night club. E’ la speranza di trasformare il proprio villaggio in un gioiello con acqua e corrente, come quello dei parenti di Obama, è l’essere riconosciuti per strada e portare ottimismo degli altri giovani, come fa l’ex olimpionico Kipteker.
Forse non durerà molto, perché dopo il calciatore col nome da fast food, gli osservatori di mezza Europa si sono sparpagliati sui campetti di terra rossa misto erbacce dell’East Africa alla ricerca dei nuovi Osimhen o Koulibaly .

Prelevano sedicenti sedicenni dal passo felino e dallo sguardo spaurito e li mettono in un college del Ghana per un anno, o regalano loro e ai loro genitori una stagione nel freddo di Brescia o Udine, per poi rispedirli in patria con i sogni congelati. Lo stesso Mariga, dopo essere stato scartato dalle multinazionali del pallone, aveva iniziato la carriera in Scandinavia, dove per scaldarsi correva il triplo degli altri e saltava più in alto di tutti. Arrivato a Parma, gli sembrava di stare ai tropici e una volta in pensione, si è comprato casa a Malindi (tentando vanamente la carriera politica, ma questa è un'altra storia).    

L’Africa, grazie al calcio, ha un’altra delle tante possibilità di salvare il pianeta dall’imbarbarimento.
Già, perché lei per prima ha conosciuto e subito la barbarie, ed ha scelto di restare adolescente, con tutte le conseguenze che una decisione del genere comporta, compresa quella di subire abusi dagli adulti e dai propri parenti.

Se nella vita pubblica, nella politica, nell’economia e nell’esercizio del potere risulta essere un grave errore, nelle manifestazioni ludiche e sportive sarà eternamente un pregio. In periodi difficili come questo, con il paese che sembrava essersi tirato fuori dalle sabbie mobili del Terzo Mondo tanto che era stato inserito nella serie B internazionale dei “paesi in via di sviluppo”, che ripiomba nel dramma della povertà di gran parte della sua popolazione, un pallone lanciato in aria da un ragazzino è sempre più un segno di speranza e non sarà mai un autogol.

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