STORIE
23-11-2022 di Freddie del Curatolo
Guardando i quartieri popolari e la cintura urbana di Nairobi, viene da pensare che il Kenya ha fatto un percorso quasi all’incontrario di quello dell’Italia del Dopoguerra: da noi la ricostruzione, il boom economico, la speculazione edilizia, l’austerity e la crescita selvaggia degli anni ottanta con annessa allegra concezione di appalti, permessi e burocrazia. In Kenya l’indipendenza, il potere di pochi, la crescita esponenziale e la speculazione edilizia di pari passo con l’allegra concezione. E il boom sempre così a braccetto con l’inflazione e i debiti.
Da una parte è tutto sviluppo, grattacieli e megaville, dall’altra la capitale già inizia a scricchiolare nella sua edilizia selvaggia, di cineserie di bassa lega, licenze e controlli acquistati al mercato dell’opportunismo e dell’ignavia. Paradossalmente, nella terra delle diseguaglianze sociale, a farne le spese non sono né i ricchissimi né i miseri disgraziati che a qualcuno piace chiamare “ultimi”. Ma è la piccola borghesia, la gente comune, chi si può permettere l’affitto di un appartamento o ne sogna uno in uno dei tantissimi edifici in costruzione della città, magari mentre è lì a fare il muratore o l’imbianchino.
Nel giro di una settimana nella periferia di Nairobi sono crollati tre palazzi di cinque, sette e otto piani.
Due di questi erano in fase di costruzione. Il primo nel popoloso quartiere di Embakasi ha palesato la mattina di mercoledì scorso alcune crepe sui muri, tanto che gli operai del cantiere hanno avvertito il loro capomastro chiedendogli di verificare, chiamando i tecnici del comune per una verifica sullo stato della struttura. Niente da fare, il geometra non ne ha voluto sapere e i lavori sono proseguiti. Dopo poche ore, come sempre in un istante, il crollo. Dieci persone sono rimaste sotto le macerie: cinque non ci sono più e altrettanti lottano con la vita in ospedale e se usciranno non saranno più gli stessi. Eravamo ad Embakasi durante la stesura del libro Nairobi e Leni fotografa proprio una di queste strutture che sembravano venute su in ere geologiche diverse e che davano l’impressione già di ondeggiare con il vento. Credo che nella disgrazia assoluta di un sisma anche leggero, di questo quartiere, che conta quasi mezzo milione di anime, resterebbe poco più che polvere.
Due giorni dopo nella cittadina di Ruaka, nell’hinterland della capitale, un altro incidente simile.
Ruaka è una delle zone in espansione. Qui giovani coppie borghesi vanno a vivere nell’appartamento sognato da anni, arredato a rate e tirato a lucido proprio come facevamo noi italiani negli anni Settanta.
Qui però i costruttori, grazie a controlli inesistenti e ad un far west della burocrazia, tirano al massimo sui prezzi e sulla qualità del materiale da costruzione, spesso investono tutto sulla facciata di palazzine che attraggono acquirenti come procaci e fascinose starlette ma che viste da dietro sono ributtanti scheletri invecchiati ancora prima di diventare adulti. A Ruaka lo sviluppo verticale è figlio della spartizione aggressiva dei terreni, spesso irregolari e scoscesi, per cui un edificio di sette piani riesce ad ergersi tra due casette monofamiliari su un solo livello. In una di queste modeste villette vivevano marito e moglie che nella notte di venerdì sono rimasti schiacciati dal cedimento del palazzo che avevano di fianco e i cui lavori andavano avanti a passo di lumaca. Boato improvviso alle quattro del mattino e l’ecomostro si è divorato la coppia, colpevole di trovarsi in una zona di avidi investitori. La proprietaria dello stabile, una certa Jeniffer con due "f" e senza un pelo sullo stomaco, rischia la condanna per omicidio colposo, sempre che la giustizia si comporti meglio di chi le ha dato l’ok per il proseguimento dei lavori.
L’ultimo palazzo crollato a Ruiru, cittadina a nord di Nairobi lungo la superstrada che porta a Thika, ha fatto invece gridare al miracolo per quella che davvero poteva trasformarsi in una strage. L’edificio di sei piani non era in costruzione, ma abitato da anni da un centinaio di persone. Sono stati gli stessi inquilini, sicuramente suggestionati da quanto accaduto pochi chilometri da lì, a notare domenica scorsa alcune grosse crepe nelle colonne che sorreggevano l’ingresso del palazzo.
Visionando il casermone ne hanno trovate altre e hanno chiamato le autorità locali.
Con l’arrivo dei vigili del fuoco e del Governatore della Contea di Kiambu, c’è stato per le famiglie il tempo di recuperare gli oggetti personali e di trovare qualcuno che gli ospitasse. Sono state anche messe a disposizione una scuola e una chiesa in attesa che il giorno successivo si potessero effettuare controlli approfonditi. Domenica sera, poche ore dopo l’evacuazione, l’intero palazzo è crollato.
Quante migliaia di persone da questa settimana sanno di dormire in una polveriera che potrebbe saltare da un momento all’altro? Quanti chiederanno ai proprietari di casa di chiamare chi dovrebbe effettuare i controlli e in passato non lo ha fatto o ha chiuso un occhio e aperto una mano alle loro suppliche generose?
Briciole e ferro, polvere e lingotti. Anche questa è Nairobi.
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