PROGETTI
05-01-2022 di Freddie del Curatolo
C’è la mano italiana nella crescita sostenibile dell’agricoltura nelle zone pastorali del Kenya.
L’altopiano di Laikipia è una savana semi arida nella quale da secoli le popolazioni maasai vivono prevalentemente di pastorizia ma negli ultimi anni, complici le problematiche legate al clima e alla deforestazione, questo non basta per la sopravvivenza di intere comunità.
Una delle soluzioni che sono state attuate a livello locale è la permacultura, ovvero il ricreare l’habitat naturale originario di queste terre con coltivazioni che si sostengono a vicenda, creando ambienti e microclimi che possono produrre alimenti di sostentamento e commercio.
Con questi obbiettivi nel 2014 è nato il “Laikipia Permaculture Center” a cui cinque anni più tardi si è affiancata l’organizzazione non governativa italiana IPSIA (Istituto Pace Sviluppo Innovazione Acli) che ha ampliato la portata e l’organizzazione dei progetti, portando da 4 ad 11 i gruppi delle comunità locali che dalla pastorizia come unica risorsa di vita, si stanno allargando con cognizione di causa all’agricoltura.
La ONG italiana, grazie al sostegno della Cooperazione Italiana che ha finanziato un progetto della durata di 3 anni, oltre all’assistenza ai gruppi (770 persone, in grande prevalenza donne), ha costruito pozzi per l’acqua e ha rafforzato un’iniziativa davvero innovativa per trasformare una pianta infestante, il cactus della famiglia “opuntia stricta”, in un valore aggiunto per le comunità locali.
In che modo, ce lo spiega la coordinatrice dei progetti IPSIA per il Kenya, Giulia Dal Bello, che Malindikenya.net ha incontrato nel centro di permacultura di Nanyuki.
“L’opuntia è una pianta invasiva – spiega Giulia – nel senso che dove cresce lei, non cresce erba. La sua eliminazione spesso produce l’effetto contrario, perché semi e foglie la fanno riprodurre ancora di più. Quindi abbiamo deciso di far diventare l’opuntia una fonte di guadagno, partendo dai frutti ma coinvolgendo anche semi e foglie”. Guadagno che si aggiunge all'attività più remunerativa per le donne maasai, che è la coltivazione dell'aloe.
I prodotti di spicco che IPSIA sta aiutando a commercializzare sono la marmellata e il succo, che hanno un buon sapore non eccessivamente dolce. Ma nella visione della ONG italiana, supportata dall’Università di Nairobi attraverso la collaborazione con l’Università degli Studi di Milano, c’è anche dell’altro, come ad esempio gli studi per la produzione del vino.
“Con la pressatura dei semi – spiega la coordinatrice italiana – stiamo ottenendo dell’olio che può essere utilizzato per uso cosmetico e commercializzato, specie insieme all’aloe secundiflora che già coltiviamo in permacultura. Ma non solo, con le foglie, che non possono essere eliminate né sotterrandole, né bruciandole perché creerebbero nuove piante invasive, abbiamo iniziato un progetto pilota per creare biogas. In questo modo in un sol colpo ridurremmo l’utilizzo di legna, quindi la deforestazione di zone già segnate dalla mancanza di vegetazione, l’inquinamento e anche la salute, riducendo i problemi respiratori e di patologie oculistiche all’interno delle comunità. Inoltre fa risparmiare fatica e tempo alle donne, che invece di tagliare e trasportare la legna, possono dedicarsi ad altre attività remunerative, come ad esempio quella che anche noi supportiamo della produzione di miele o di cosmetici”.
Uno dei grandi insegnamenti dell’Africa è che ogni risorsa della terra ha un suo utilizzo originario e può concorrere a migliorare la vita di ogni specie animale e vegetale. Il principio della permacultura è proprio questo, piante diversissime tra loro che crescendo nello stesso ambiente, si aiutano a vicenda. Così come IPSIA, con le sue competenze e la passione dei suoi esperti, ricercatori e volontari e la capacità di attrarre sponsor e collaboratori, sta aiutando le comunità keniane di Laikipia.
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