EDITORIALE
15-11-2022 di Freddie del Curatolo
Il ritorno del turismo in Kenya non può che far bene sotto molti aspetti, anche se non sarà mai la soluzione della ripresa economica e sociale di un paese africano. Non è la cura, ma un ottimo ricostituente, insomma.
Fa bene in primis per il salario di migliaia di lavoratori (due milioni di persone, secondo i dati della camera di commercio keniana, tra lavoratori diretti e indotto) che spesso sono sviliti da contratti stagionali, training estenuanti e “prendi e molla” a volte forzati. Poi per le stesse aziende, a tutti i livelli: dai grandi hotel alle piccole agenzie di safari, a boutique o addirittura chioschi di artigianato locali. Molte di queste attività, durante la pandemia e nel difficile 2022 della ripresa, sono state costrette a chiudere o a ridimensionare i propri affari e aspettative. Più gente che lavora e porta a casa uno stipendio significa famiglie che possono nutrirsi e figli che possono andare a scuola, significa meno gente affamata che può essere costretta a vivere di espedienti e alla microcriminalità.
Il turismo infine fa bene all’economia del paese perché se tornano 2 milioni di viaggiatori all’anno come nel periodo pre-pandemia, per lo stato significa introitare denaro fresco, valuta straniera comoda per evitare che l’inflazione vada alle stelle.
Ed è assodato, confermato da numeri e statistiche, che tra tanti turisti che arrivano, molti decideranno di investire in questo paese e diventeranno contribuenti, o anche semplicemente pensionati o benestanti che spendono in Kenya.
Questo è il motivo per cui la stagione che si prospetta può riportare la speranza di rivedere un turismo pieno e portatore di benessere e di assistere ad una presa di coscienza e di posizione del nuovo governo, cercando di facilitare ingresso, permanenza e servizi in Kenya e allo stesso tempo garantire accoglienza e sicurezza. Per fare grandi numeri c’è bisogno di ogni genere di turista, dal milionario che prenota i lodge di superlusso nel Masai Mara e nel Samburu, alla famiglia che arriva con il charter per una vacanza all-inclusive in un villaggio della costa, dalla coppia di influencer che si prendono un mese per girare il paese in lungo e in largo, al pensionato che non si muoverà dalla cittadina in cui ha preso in affitto un appartamento, dal perfezionista che vuole ogni comfort al “backpacker” zaino in spalla che si adatta ad ogni situazione. In un periodo di tremenda, perdurante siccità e di emergenza alimentare, il turismo può essere d’aiuto, sempre che chi viene in Kenya, nonostante abbia in mente come priorità divertirsi, rilassarsi e godersi la vacanza, riesca anche nel suo piccolo a rendersi conto del luogo in cui è capitato e del momento storico in cui è arrivato qui. Siamo certi che nel suo piccolo qualcosa in tanti riusciranno a fare. Nel frattempo, “karibu Kenya”!
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