EDITORIALE
17-07-2023 di Freddie del Curatolo
L’avreste mai detto che nel terzo millennio dall’Italia per trovare il fresco uno deve migrare all’Equatore?
Sicuramente fino a quattro, cinque anni fa la gente comune non ci avrebbe scommesso, a differenza degli esperti, degli ambientalisti e dei catastrofisti (che sparando nel mucchio bene o male di questi tempi ci prendono sempre).
L’Africa nell’immaginario collettivo non solo è il continente del caldo, dei deserti e della gente che gira seminuda (che poi bisognerebbe ricordare loro i Tuareg e fargli indossare le pelli dei pastori ugandesi) ma anche quello delle zanzare e delle malattie tropicali. Noi qui, però, a differenza di Jesolo e Riccione, la zanzara tigre non l’abbiamo mai vista. Eppure ne facciamo di safari…
Già nella lunga estate calda dell’anno scorso gli italiani avevano avuto le avvisaglie di quella che sta diventando ormai una consuetudine climatica e che pare destinata non solo a consolidarsi, ma ad aumentare. Nel torrido luglio (ormai l’aggettivo è quasi benevolo, tanto che quando dal Kenya chiedo, mi rispondono “torrido? Magari!”), per cui i media non trovano più aggettivi peggiori che “infernale” (effettivamente, cosa c’è di peggiore da immaginare del fuoco eterno? Forse solo una coda per incidente sull'autosole a mezzogiorno?), tutti parlano delle temperature di Roma, Napoli, Firenze e delle isole italiane che sfiorano i 50 gradi.
Tutto questo accade mentre il bambino, che non è Gesù ma è quel fenomeno sudamericano (no, non Messi) climatico chiamato El Niño, in Africa Orientale porta temperature decisamente primaverili e piogge intermittenti che fanno rifiorire la natura, dopo anni di siccità estrema. E se vi dicessi che a Johannesburg, nei giorni scorsi è arrivata una delle più grandi nevicate mai viste in Sudafrica?
Un dato di fatto ineccepibile è che ormai in Italia non esiste più la stabilità climatica e, ormai assuefatti alle intelligenze artificiali, siamo costretti d’inverno a creare la mitezza del tempo spendendo milioni di riscaldamento e d’estate ci affidiamo al fresco artificiale delle arie condizionate, con altro dispendio e un bonus di inferno per il pianeta. Ormai è assodato che se l’Africa subsahariana fosse un luogo non sfruttato economicamente, organizzato e sostenibilmente sviluppato, dall’occidente migrerebbero tutti qui.
Chissà se augurarglielo, ai keniani. Già iniziano a sopportare poco chi arriva a Malindi e Watamu d’inverno per risparmiare sulla bolletta del gas e crede di portare benessere alla popolazione locale…
Torniamo al clima: la morale è che guardando i telegiornali sudare in transcontinentale e navigando su internet, dal nostro fresco rifugio keniano ci squagliamo solo al pensiero e (ma questo succede spesso, al netto dell’innegabile nostalgia e delle endemiche mancanze) siamo contenti di essercela squagliata.
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