REPORTAGE
27-01-2012 di Freddie del Curatolo
La savana è la materia.
E’ ciò di cui siamo fatti tutti e da cui tutti proveniamo.
Non sono solo i mesozoici elefanti e le grottesche giraffe a ricordarcelo.
Ce lo dicono le improvvise colline che sono frammenti della Rift Valley, le acacie ad ombrello disseminate come funghi antidiluviani, gli enormi massi scolpiti da centomila anni di vento.
Ce lo insegnano la disperata corsa della gazzella per sfuggire ai felini, la grottesca lotta di corna tra l’orice e l’antilope d’acqua per spartirsi una buona zona d’erba, l’incazzatura collettiva dei bufali, la marmorea attesa dello sciacallo, la vita a strisce delle zebre e quella a stelle del marabù.
La savana ora è ai nostri piedi e assorbe un cielo insolito, appannato.
Un cielo molto poco africano.
Pascal, il ranger, ci spiega che la guardia scelta a cui i bracconieri hanno sparato la sera prima, sta lottando a Nairobi tra la vita e la morte.
Saliamo sul Poachers Lookout, il colle d’avvistamento dello Tsavo Ovest.
Abbiamo dribblato le pietre laviche delle Chyulu Hills, le piste sabbiose che portano alle sorgenti di Mzima Springs, dove l’ippopotamo regna assonnato e la fitta foresta è nascondiglio naturale.
I bastardi conoscono la materia e la loro provenienza.
Hanno tagliato più volte la testa alla grande madre Savana.
L’hanno stuprata e la stanno rendendo sterile.
E’ una storia antica come quella della terra, l’estenuante ripetersi dei soprusi e della vigliaccheria.
Lo Tsavo West in pochi anni è stato svuotato di elefanti e in genere di tutti gli animali.
Paesaggi mutevoli e misteriosi, desertici e lunari, duri, montani o boschivi. Pochissimi esemplari, però.
Da qui i contrabbandieri d’avorio risalgono le verdi colline d’Africa, s’inoltrano nel maasai mara e proseguono per Kisii.
Sono le lande della pietra saponaria, quella sorta di alabastro duro con cui si fanno animaletti, portaoggetti ed altre diavolerie inutili che i cinesi preferiscono in avorio.
Così i bracconieri hanno ceduto il passo ai trafficanti.
Finanziati da uomini d’affari asiatici, arrivano con pesanti automezzi a Kisii e preparano i carichi che finiranno al porto di Mombasa.
Con grosse seghe circolari fanno a pezzi le lunghe zanne, poi mescolano elefanti di saponaria con i preziosi resti di quelli che hanno ucciso.
Un’orrenda mescolanza di reale e irreale, un teatro dell’assurdo e dell’inutile da esportazione.
Tutto nei container che, caricati su grossi tir, riprendono a macinare chilometri nella direzione opposta.
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