AMBIENTE E FAUNA
15-04-2025 di Freddie del Curatolo
E’ incredibile come ancora oggi, con le moderne tecnologie che piazzano webcam e microchip anche nei posti più impensabili, che tracciano e che scannerizzano in partenza in arrivo anche gli organi interni delle persone, si possa ancora parlare di contrabbando di zanne d’elefante.
Già, perché l’elefante per prima cosa bisogna ucciderlo, per estrarre le sue preziose protuberanze ossee, e l’operazione non è velocissima. Successivamente bisogna occultare il malloppo, trasportarlo ed infine farlo imbarcare alla volta dell’Asia, che nonostante lo storico bando della Cina nel 2018, è rimasto l’unico mercato che tratta ancora l’avorio alla luce del sole, non tanto per farne monili e oggetti d’arte che sarebbero poi difficili da commerciare, quanto per la medicina tradizionale, presumendo chissà quali benefiche proprietà che non possano essere cercate altrove, piuttosto che nell’assassinio di specie protette.
Ma non l’unica destinazione illegale delle zanne d’elefante africano: l’IFAW (international Fund for Animal Welfare) ha recentemente analizzato il mercato clandestino d’avorio di alcuni Paesi europei, tra cui anche l’Italia (oltre a Germania, Francia, Olanda, Belgio e Portogallo), trovando annunci pubblicitari e mercati online, anche non solo sul dark web, che proponevano articoli d’avorio, di cui solo il 10% con la necessaria certificazione di legalità per quella minima parte di oggetti ancora commerciabili.
E si tratta chiaramente di stupidità umana, più che un discorso di investimento o di sfoggio di valori.
Ecco perché purtroppo anche in Kenya siamo testimoni di continue uccisioni di elefanti e solo raramente di arresti dei colpevoli, che spesso non sono neanche le stesse persone che vengono trovate con la refurtiva, né tantomeno quelle che commissionano le carneficine, acquistano ed esportano l’avorio. Dopo tanti anni, dopo due decenni, si è arrivati al bracconaggio zero di rinoceronti (il loro corno è ancora richiestissimo per farne un “viagra” alternativo) ma il rinoceronte è un animale più stanziale e facile da monitorare. Ma il Kenya resta uno dei punti di raccolta anche per altri Paesi dell’Africa orientale, fidando della poca attenzione e molta corruttibilità degli ufficiali delle dogane di terra. A poco serve che il parlamento abbia approvato severe leggi anti-bracconaggio e che il governo abbia rafforzato la sicurezza nei parchi per fermare il bracconaggio, che minaccia la vitale industria del turismo. Sono passati nove anni da quando, su impulso dell’allora presidente Uhuru Kenyatta, al parco nazionale di Nairobi vennero bruciate 105 tonnellate di avorio d’elefante e una e mezzo di corno di rinoceronte, trafugate da oltre 7000 esemplari. Qualcosa è sicuramente migliorato, ma non è sufficiente ad evitare altri massacri.
Nello scorso fine settimana la polizia e i ranger del KWS hanno arrestato tre sospetti bracconieri che trasportavano nella loro automobile, nascoste in un sacco di juta, due zanne di elefante del peso di 60 chilogrammi, nella contea di Meru.
Il valore di vendita si aggirerebbe attorno ai 50 mila euro, si ritiene che le zanne appartenessero ad un esemplare trovato senza vita e completamente sfigurato appena fuori dal parco nazionale di Meru. Sono scattate ricerche per risalire all’intera rete di bracconaggio. Come dice qualcuno che in Africa non perde le speranze, “A luta continua”.
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